Matteo Salvini sente il rumore dei nemici, così alza la cornetta e chiama il presidente della Repubblica. Non prima di non aver avvertito le agenzie di stampa. E’ accaduto ieri, dopo aver appreso dal quotidiano “La Verità”, della conversazione fra il giudice Luca Palamara, l’ex manovratore dell’Associazione nazionale magistrati, e alcuni colleghi in una chat privata. All’interno della quale – citazione testuale – Palamara scrive che “Salvini ha ragione, ma va attaccato”. Il riferimento è alle politiche sull’immigrazione adottate dal “capitano” quando si trovava al Viminale.

Il clima si surriscalda soprattutto in vista dell’appuntamento di ottobre, quando il segretario della Lega, ed ex Ministro dell’Interno, sarà al Tribunale di Catania (dopo che il Senato ha dato l’autorizzazione a procedere) per la prima udienza sul caso Gregoretti: “L’articolo de ‘La Verità’ – ha spiegato Salvini in una missiva indirizzata a Mattarella, cui è seguita una telefonata cordiale – documenta uno scenario gravissimo: diversi magistrati nei loro colloqui privati concordavano su come attaccare la mia persona”.

“E’ innegabile – continua la lettera – che la fiducia nei confronti della Magistratura adesso vacilla al cospetto delle notizie sugli intendimenti di alcuni importati magistrati”. “Come noto – riprende Salvini nella sua disamina – a ottobre inizierà l’udienza preliminare innanzi al GUP presso il Tribunale di Catania ove sono chiamato a rispondere dell’ipotesi di sequestro di persona per fatti compiuti nell’esercizio delle mie funzioni di Ministro dell’Interno. Mi appello al Suo ruolo istituzionale, quale Presidente della Repubblica e del CSM, affinché mi venga garantito, come deve essere garantito a tutti i cittadini, il diritto ad un processo giusto, davanti a un giudice terzo e imparziale”.

Salvini si sente accerchiato e chiede una mano al Capo dello Stato. Ma dalle chat “bollenti” non sembrano emergere risvolti penali e disciplinari. Per il leader della Lega è stata (pure) un’occasione buona per uscire dall’angolo e riprendere in mano le sorti del suo destino: se vogliono battermi – è la sintesi del suo pensiero – lo facciano nelle urne e non nei tribunali.