Costretto a mettere pezze ovunque. Salvo Pogliese non è ancora Superman e sta cercando di attrezzarsi. Il suo comune, quello che amministra da qualche mese, è con l’acqua alla gola: su Catania pende la scure del dissesto economico. Niente stipendi ai lavoratori e rischio di finire nel vortice del default se il governo nazionale, con “un’anticipazione di cassa” rispetto all’approvazione della Legge Finanziaria, non dovesse provvedere a sostenerlo.

“Ma chi te l’ha fatta fare” diranno gli amici più ficcanti, in queste ore, a Salvo Pogliese. Rinunciare a un posto sicuro al Parlamento europeo – da cui si è dimesso dopo le ultime Amministrative – per tentare di raccogliere i cocci di una città lasciata al verde dai suoi predecessori. Ma non è tutto: perché sulla testa del sindaco di Catania pendono ancora le accuse di “spese pazze” per la legislatura 2008-12 all’Ars, quando era deputato regionale (e vice capogruppo) del Pdl. Nel processo in cui è coinvolto, vengono contestate a Pogliese 1.200 euro per la “sostituzione di varie serrature e varie maniglie per porte” nello studio catanese del padre, 30 mila euro per soggiorni in albergo a Palermo, cene e spese di carburante, 280 euro per la retta scolastica del figlio e 30 mila euro in assegni girati sul conto personale. Una serie di “investimenti” fatti coi soldi dell’Ars destinati al partito.

Ma com’è possibile una tale follia? Pogliese ha subito cercato di giustificarsi, dicendo che quei soldi rientravano da un prestito personale fatto al Popolo delle Libertà, che precipitò in una situazione contabile instabile dopo la fusione tra Forza Italia e An. Stavolta fu Pogliese a fare un’anticipazione di cassa reale, al partito, di circa 45mila euro per permettere di pagare stipendi e Tfr ai dipendenti, acquistare materiali, saldare fornitori e organizzare le attività politiche. Un prestito che sarebbe poi rientrato nel modo di cui sopra, per il quale il sindaco è accusato di peculato. Il problema, adesso. È come dimostrarlo: servirebbe Superman.