Il fallimento della sanità pubblica, con gli ospedali ridotti all’osso per la carenza di medici e i Pronto soccorso intasati di pazienti che non ricevono cure adeguate, è una responsabilità “collettiva”, solo in parte imputabile alla Regione. Schifani però ha sbagliato due volte: nominando un assessore fantasma che non ha inciso di un’unghia sulla risoluzione dei problemi e “delegando” ai partiti la scelta dei futuri direttori generali, tuttora incagliati nel parere della Prima commissione all’Assemblea regionale. Otto dei diciotto manager nominati dalla politica hanno un procedimento in corso. Ma quello – ahinoi – è l’ultimo dei problemi. Il primo è il decadimento delle competenze, che alcuni di essi hanno dimostrato, espressamente e più volte, di non possedere: a partire dall’attuale Commissario straordinario dell’ASP di Palermo, Daniela Faraoni, che ha deciso di condannare al “patibolo” i privati convenzionati che attendono la liquidazione degli aggregati di spesa, sia correnti che arretrati, per le prestazioni erogate in convenzione con il sistema sanitario.

Sembra una questione di poco conto. Nel senso che le prestazioni garantite da laboratori analisi e ambulatori specialistici convenzionati sono una parte di quelle previste dal “pubblico” (anche se il rapporto è sbilanciato e pende, ormai, dalla parte dei privati). Eppure risultano necessarie, perché in loro assenza il Sistema Sanitario farebbe una fatica immane e garantire l’assistenza, specie per i soggetti ai quali è applicata l’esenzione dal ticket. Oltre alle imprese della Faraoni, che all’ASP di Palermo non paga nessuno e non tiene conto neppure dei decreti ingiuntivi e delle direttive dell’assessorato (che alla fine dell’anno scorso aveva imposto la liquidazione delle fatture arretrate), il problema riguarda tutti gli altri. Il calcolo degli aggregati di spesa, cioè il tesoretto da distribuire ai privati convenzionati (tra cui studi dentistici, poliambulatori ecc.) sulla scorta delle prestazioni da garantire e dei relativi costi, è fermo al 2019. E in questo periodo, a cominciare dal Covid, ne sono successe di cose.

L’ultimo tavolo, alla presenza del direttore del dipartimento Pianificazione strategica, Salvatore Iacolino e del direttore del Dasoe, Salvatore Requirez, è andato in scena la scorsa settimana e, sebbene ci siano dei margini per avvicinare le parti – assessorato e convenzionati – non siamo vicini all’esito soerato. “Il dirigente generale Iacolino – si legge in una nota del Cimest, il Coordinamento Intersindacale della Medicina specialistica di territorio – ha esposto in modo chiaro e preciso i termini di una nuova proposta per il 2024. L’assessorato parte da un’assegnazione di 308 milioni, ai quali vengono aggiunti 8 milioni per le prestazioni critiche per un totale quindi di 316 milioni. A questi si aggiungono altri 10 milioni di euro che, come affermato dal direttore generale del Dasoe, Salvatore Requirez, verranno assegnate per la prevenzione secondaria e terziaria”.

Ma sono soldi che, al netto degli sforzi e dell’impegno degli attori in campo, non bastano. Non ancora. “Nel 2023 l’extra budget si attesta a circa 80 milioni – prosegue il Cimest -. Quindi il nostro fabbisogno programmato per l’anno in corso è pari a 292 milioni (entità dello stanziamento 2023) più 80 milioni. La somma fa 372 milioni, contro i 316 proposti dall’Assessorato. Questo significa che i nostri budget, riportati mensilmente, finiranno il 24 di ogni mese e pertanto dovremmo sospendere l’erogazione delle prestazioni mediamente giorni 24 di ogni mese, considerando che non sarà più riconosciuto il pagamento di alcun extra budget”. E’ chiaro, lampante. Dal 24 del mese, con queste premesse, la sanità pubblica non potrà più contare su quella convenzionata. E chi è tagliato fuori dalle prenotazioni negli ospedali – perché ci sono le liste d’attesa da rispettare – dovrà rivolgersi al privato. Pagando.

La disfatta è doppia: per il sistema sanitario e per i pazienti. Che risultano, come sempre, i più penalizzati. Ma c’è un’altra spada di Damocle che pende sulla testa dei convenzionati. Si tratta dell’applicazione del nuovo nomenclatore tariffario dal 1° aprile 2024, su direttiva del Ministro Orazio Schillaci. Esso, in media, abbatte del 45 per cento i rimborsi per le prestazioni erogate dai convenzionati. Un salasso al quale è impossibile – così sembra – porre rimedio. A differenza di alcune regioni del Nord, come Lombardia ed Emilia Romagna, che hanno il diritto di correggere il tiro (modificando il decreto del Ministero), la Sicilia non può. Il piano di rientro dal disavanzo sanitario, con cui la Regione deve fare tuttora i conti, è rigido e non ammette deroghe.

Così, dopo il primo rinvio dell’entrata in vigore del nomenclatore (già previsto il 1° gennaio) a salvare capre e cavoli potrebbe essere un altro slittamento, in attesa della sentenza del Tar del Lazio che a maggio si pronuncerà su alcuni ricorsi. Il rischio non è soltanto non poter garantire le prestazioni gratuite per i cittadini – che sono obbligati a recarsi nelle strutture a pagamento – ma anche non riuscire a salvaguardare il posto di lavoro per molti dipendenti dei laboratori analisi e degli ambulatori specialistici. Ne va della loro sopravvivenza. L’altro effetto, in attesa dell’autonomia differenziata, è allargare la forbice, già enorme, fra le regioni più evolute e la Sicilia. Il Cimest ha definito il nomenclatore “carente ed inadeguato”. Da parte delle rappresentanze sindacali è stato richiesto un intervento urgente della Presidenza della Regione, pena il non poter eseguire centinaia di prestazioni sottocosto che metteranno in crisi l’erogazione delle prestazioni.

La politica, però, non si occupa di queste cose. E’ più attenta alle nomine e alle poltrone. Ieri l’assessore Giovanna Volo è stata ascoltata, in audizione, dalla commissione Affari istituzionali; oggi toccherà a Iacolino, mentre domani è in calendario la votazione sulle nomine dei 18 manager a capo di Asp e ospedali. Negli ultimi giorni, a fronte dei subbi sollevati dai deputati, la Regione ha prodotto una integrazione documentale rispetto alle scelte compiute il 31 gennaio scorso. Un paio di posizioni appaiono in bilico (quella di Walter Messina al ‘Civico’ di Palermo e quella di Giorgio Santonocito al Policlinico di Messina). Chi resterà al timone, invece, modificherà il proprio status, passando dal ruolo di Commissario a quello di direttore generale. In linea di principio, è un modo per far saltare il tappo su una stasi che ha condannato la sanità siciliana alla situazione di oggi. Dove il pubblico non funziona, ma anche i convenzionati non se la passano troppo bene.

Piccola chiosa: ieri un gruppo di mamme aveva chiesto un incontro a Schifani per provare a salvare la Cardiochirurgia Pediatrica di Taormina da una chiusura ormai imminente (la proroga scade il 31 luglio). Ma Schifani, impegnato con la visita di Farinetti a Palazzo d’Orleans, ha marcato visita. “Questo atteggiamento – ha commentato Cateno De Luca, leader dell’opposizione – dimostra una mancanza di attenzione verso le esigenze e le preoccupazioni dei cittadini”.