Gli altri, i magistrati, li hanno voluti nelle liste. E come nel caso dei Cinque Stelle, sono riusciti persino a farli eleggere (Scarpinato e De Raho). Il nuovo presidente della Regione siciliana, Renato Schifani, invece, vorrebbe arruolarne almeno uno (magari insieme a un ex prefetto o a un ex comandante della Guardia di Finanza) nel nuovo organismo di vigilanza sull’attuazione del Pnrr. Uno dei primi provvedimenti, assieme alla semplificazione amministrativa, che l’ex presidente del Senato ha promesso a tv e giornali dopo l’elezione. Schifani dovrebbe sapere che sull’attuazione del Pnrr vigila – o almeno dovrebbe – una task force nominata dall’assessore Armao, con tecnici e giuristi, di cui però si sono perse le tracce. Quattordici esperti, tra cui molti dipendenti dell’assessorato all’Economia, affiancati per altro da una segreteria tecnica nominata dal coordinatore dell’intero gruppo: l’ex assessore regionale Nicola Vernuccio.

Prima di procedere con nuove figure che possano, tra le altre cose, buttare un occhio alla eventuale presenza di infiltrazioni mafiose, Schifani farebbe bene a verificare che fine ha fatto quella ‘cabina di regia’ nata con l’obiettivo “di utilizzare al meglio le risorse stanziate nel Pnrr per la realizzazione in Sicilia di interventi strategici, pari a 266 milioni di euro, nel settore delle opere pubbliche, delle infrastrutture, della portualità, della digitalizzazione e altri settori fondamentali per l’isola”. Già che c’è, potrebbe capire perché quest’organismo non ha fatto da ‘collante’ fra i Consorzi di Bonifica e il Ministero dell’Agricoltura (allora diretto da Stefano Patuanelli) che ha bocciato i 31 progetti per le opere irrigue presentate dalla Regione, con una perdita secca di 400 milioni (mai recuperati).

Prima di passare a nuovi meccanismi di vigilanza, forse, bisognerebbe tirare fuori dagli armadi i vecchi scheletri. Indagare su come sono stati spesi i soldi del Pnrr, è vero; capire che fine ha fatto la legge sulla semplificazione amministrativa, approvata nel 2019, che secondo la Regione avrebbe dovuto garantire “molteplici strumenti volti a semplificare la vita di cittadini e imprese, migliorando il rapporto con la Pubblica amministrazione”. Nella nota di palazzo d’Orleans dell’epoca si faceva riferimento, fra gli altri, al “silenzio-assenso che prevede, in numerosissimi casi, il rilascio automatico dell’autorizzazione nel caso in cui l’amministrazione non si pronunci entro 60 giorni; la semplificazione degli istituti della segnalazione certificata di inizio attività (Scia); la disciplina del sistema delle conferenze di servizi, che istituisce tempi contingentati per giungere alla decisione, la risposta motivata e la possibilità di un eventuale pronunciamento della giunta di Governo qualora tale decisione non arrivasse nei tempi stabiliti”. Che fine ha fatto quella legge? Serve davvero farne un’altra per rendere “più snelle” le procedure e rendere più appetibili gli investimenti privati?

Che l’attività del nuovo governatore debba partire dallo studio e dall’approfondimento ci sono pochi dubbi. Nell’agenda di Schifani dovrà trovare spazio una verifica dell’iter relativo all’avviso pubblico per la realizzazione di due termovalorizzatori. “Musumeci aveva avviato queste procedure – ha confermato, tra qualche dubbio di sorta, il neo governatore -. Se troverò le procedure avviate continuerò quel percorso”. E in caso contrario che succederà? Bisognerà rifare tutto daccapo? Fra l’altro Schifani ha già confermato la propria sfiducia nei confronti della commissione Via-Vas di Aurelio Angelini, da cui passano – fra le altre – le autorizzazioni di impatto ambientale e il destino delle discariche private. Anche questo è un tema da chiarire subito, per fare in modo che la Sicilia, in un tempo non troppo lontano, riesca a sconfiggere il business della monnezza.

Tra le varie carte da sbrigare, bisognerà passare in rassegna gli articoli impugnati dell’ultima Finanziaria. E verificare se è il caso o meno di resistere di fronte alla Corte Costituzionale ai rilievi di Draghi. Anche se, di fronte alle controdeduzioni inconsistenti del governo uscente, Palazzo Chigi (attraverso l’Avvocatura dello Stato) ha chiesto l’impugnativa dell’intera Legge di Stabilità 2022. Il tema delle bocciature romane è caldissimo: questi anni di Musumeci & Armao sono stati contrassegnati dai ‘no’. E non c’entra il colore politico dell’esecutivo di turno: nell’ultimo Consiglio dei Ministri, infatti, le ministre Carfagna e Gelmini – dello stesso partito di Armao – erano presenti in posizioni apicali, eppure non sono mancate le tirate d’orecchie. Per Schifani, che ha scelto di affidarsi al dialogo con Roma per risolvere gli innumerevoli problemi di questa terra disgraziata, dovrà circondarsi delle persone giuste per evitare di tornare da Roma, ogni volta, con un nulla di fatto.

Il riferimento è ai due accordi di finanza pubblica. Il primo con Conte, che avrebbe consentito alla Sicilia di ripianare un disavanzo di 1,7 miliardi in dieci anni, in cambio della promessa di riqualificare la spesa e realizzare alcune riforme (dai Consorzi di Bonifica ai Forestali: qualche notizia?). Il secondo, più recente, ha permesso di liberare un po’ di quattrini – grazie, ad esempio, alla riduzione del contributo annuo versato a Roma – ma oltre ad aver rallentato di mesi, e inutilmente, l’approvazione dell’ennesima Finanziaria di cartone, deve concretizzarsi nelle parti più importanti: cioè la complessiva definizione della nuova normativa di attuazione dello Statuto in materia finanziaria.

Un impegno che potrebbe assumere il nuovo governatore, anche se 5 anni fa non ha portato benissimo, è di approvare i bilanci in tempo utile, senza dover ricorrere all’esercizio provvisorio. O magari dare uno sguardo – altro elemento fondante – al cassetto degli scandali. La legislatura appena terminata ha portato in auge il caso Ast, l’azienda siciliana dei trasporti, dov’è stato rinvenuto dai giudici (non dalla politica) un autentico verminaio di clientele e corruzione. Ha indagato soltanto la commissione Antimafia dell’Ars, delineando un quadro cupo di omissioni e responsabilità. Così, prima o poi, tutte le partecipate (alias carrozzoni) rischiano di diventare motivo d’imbarazzo per la Regione: lo è stata Sicilia Digitale, ma anche l’Orchestra Sinfonica. E ha rischiato di diventarlo l’Ente minerario, prima che una presa di posizione dura e netta da parte di alcuni deputati della maggioranza e dell’opposizione, ‘costringesse’ la governance dell’Ems a tirare fuori i soldi della liquidazione, che rischiavano di finire all’estero grazie al lavoro sporco di qualche faccendiere. Cose così è meglio che non ne accadano. Ma per evitare bisogna prevenirle. E prim’ancora conoscerle.

Solo dopo aver rimosso queste cancrene Schifani potrà pensare di volare alto. E parlare di riforme, di Ponte, di lavoro. Prima ci sono le tossine (altrui) da smaltire, gli uffici da motivare, i nuovi assessori da lanciare. C’è una Sicilia da amministrare, senza consegnare ai cittadini – il 48% che ha votato ma anche il 52% che se n’è rimasto a casa – la sensazione di aver vissuto per troppi anni lontano da Palermo. Se non, addirittura, su Marte.