Schifani non regge, frana il governo

Da sinistra, l'assessore alla Formazione Mimmo Turano e il governatore, Renato Schifani (Foto Mike Palazzotto)

Due indizi fanno una prova: al termine delle elezioni Amministrative, e ben prima della pausa estiva, Renato Schifani sarà costretto a mettere mano al suo giocattolo. Le accuse di Fratelli d’Italia all’assessore Turano, reo di aver spaccato il centrodestra a Trapani, e la pretesa di una “verifica politica” (esternata sul Giornale di Sicilia) dallo stesso Schifani, lasciano spazio a pochi dubbi. Il governo, fin qui assente e inoperoso, rischia di diventare dannoso: per questo si procederà a un tagliando, che di questo passo rischia di diventare un vero e proprio rimpasto.

Sembra quasi una contraddizione in termini, dal momento che non c’è traccia di una riforma o di un provvedimento amministrativo degno di nota, semmai di qualche scandalo (come SeeSicily) e di un buco nell’acqua bello grosso (la Finanziaria impugnata da Roma), eppure i tempi sono già maturi – dopo neanche sette mesi – per un cambio ai vertici degli assessorati. Schifani l’aveva annunciato alla kermesse di Forza Italia: “Faremo un tagliando alla giunta di governo della Regione. Non si tratta di cambiare questa o quella persona – aveva assicurato – ma di valutare il percorso fatto, la capacità della giunta nel suo complesso e dei singoli assessori di essere efficaci nei rispettivi settori di competenza”. Come se un semplice rimasto, come avvenuto ai tempi con Crocetta, basti a dare credibilità a un governo fondato sui rancori (del presidente), su competenze assai discutibili, e sui reciproci sospetti fra alleati (come dimostra la scelta del candidato sindaco di Catania).

A rischiare più di tutti è Mimmo Turano, responsabile dell’Istruzione e della Formazione professionale. Non per particolari demeriti di natura amministrativa o gestionale, ma perché ha Trapani non è riuscito a compattare la Lega – o meglio: quelli del suo gruppo storico – attorno alla proposta del candidato di FdI, Maurizio Miceli. Il simbolo del Carroccio, a meno di sorprese dell’ultima ora (c’è tempo fino al 3 maggio per la presentazione delle liste) non comparirà sulla scheda elettorale. Mentre una civica di turaniani correrà a sostegno del sindaco uscente Giacomo Tranchida, di espressione dem. La virata a sinistra è stata sottolineata in blu dal coordinatore di Fratelli d’Italia per la Sicilia occidentale, Giampiero Cannella, che ha chiesto alla Lega e a Schifani di assumere provvedimenti di fronte al voltafaccia. E se il Carroccio, da un lato, ha fatto intendere di non tollerare intromissioni (la Tardino da mesi accusa di “slealtà” i patrioti), Schifani non ha potuto ignorare la situazione.

Così, al Gds, ha confermato la necessità di un check-up alla giunta: “Le decisioni – ha anticipato il presidente della Regione – è giusto prenderle al termine della campagna elettorale per non arrecare tensioni all’interno del nostro schieramento, che negli altri comuni si presenta unito”, ma “per rispetto della coalizione, farò le mie considerazioni, verificando l’opportunità di continuare il percorso con l’assessore all’Istruzione. Ovviamente senza toccare gli equilibri politici. Ciò vuol dire che alla Lega verrà chiesto di fare un altro nome. Cosa che a Schifani non è riuscita mesi fa con Fratelli d’Italia: di fronte allo scandalo di Cannes, e dell’affidamento diretto a una società lussemburghese per 3,7 (poi revocato in autotutela), avrebbe preteso l’esclusione di Francesco Scarpinato. Ma in quel caso lo stato maggiore di FdI ha acconsentito a un semplice scambio di deleghe con Elvira Amata. Turano, per altro, è uno dei capi bastone del nuovo corso del Carroccio: è entrato nel partito di Salvini alla vigilia del voto del 25 settembre, dopo aver considerato conclusa l’esperienza nell’Udc. E’ l’alter ego di Luca Sammartino nella Sicilia occidentale, e non una semplice pedina da sacrificare. La sua esclusione potrebbe avere contraccolpi importanti anche sulla tenuta numerica del partito in provincia di Trapani. Se la sentirà Schifani di andare fino in fondo e mettere a soqquadro una serie di equilibri interni già precari?

Il presidente, in questa fase della campagna elettorale, è nel mirino di Fratelli d’Italia, come rivelano i post al vetriolo di Manlio Messina sulla sua inadeguatezza amministrativa, o le critiche feroci di Marco Intravaia, fedelissimo di Musumeci, dopo l’ingresso di Cancelleri in Forza Italia. Il presidente della Regione, per queste Amministrative, avrebbe voluto essere il regista della coalizione di centrodestra, una sorta di allenatore che orienta i giocatori in campo rendendoli squadra. Ma si è dato alla pratica del calciomercato, per allargare il perimetro di Forza Italia con gli scarti altrui. Più in generale, FdI contesta l’approccio un po’ troppo morbido del presidente rispetto all’attività di governo (che infatti langue). All’Ars non è arrivata una sola proposta di legge e la Finanziaria, con l’impugnativa di Roma, ha rivelato tutte le sue debolezze. Ad aver arrestato il percorso – annunciato come trionfante – della Legge di Stabilità è stato per altro il ministro della Coesione, Raffaele Fitto, anch’egli meloniano.

A non averci fatto una bella figura è senz’altro il responsabile dell’Economia, Marco Falcone, che in questo avvio (e al netto delle apparenze) più di una volta ha dovuto subire i rimproveri di Schifani. Ad esempio sulla gestione dell’aula durante l’approvazione del Bilancio, quando ha consegnato il pallino delle operazioni alle opposizioni pur di chiudere la partita in tempo utile e senza intoppi. Il risultato è l’impugnativa di capitoli di spesa per 800 milioni, perché i fondi di sviluppo e coesione inseriti in manovra non sono nella disponibilità della Regione. Figure del genere non dovranno più accadere, ha ammonito il governatore. Nel frattempo si dovrà ricorrere a un rattoppo con un ddl “collegato” dagli esiti (e dagli emendamenti) incerti.

Falcone è un altro degli assessori a rischio se la verifica politica dovesse allargarsi al “merito” delle questioni e non rimanere soltanto in superficie. Non è esente da responsabilità neppure Giovanna Volo. Troppo lenta, troppo passiva rispetto a una materia – la Sanità – che richiede decisioni celeri, trattative serrate, risposte esaustive. Sulla chiusura del reparto di Cardiochirurgia pediatrica all’ospedale di Taormina, l’assessore ha il paravento delle decisioni assunte dal suo predecessore, che aveva già deciso di spostare l’asset altrove (a Palermo). Ma la Volo non ha saputo ovviare all’inerzia delle Asp, che si rifiutano di pagare gli arretrati ai laboratori analisi convenzionati; non ha saputo fornire risposte convincenti alle strutture accreditate, che hanno scioperato quattro giorni prima di tornare al tavolo di confronto; non ha saputo offrire garanzie ai precari del Covid, rimasti nel “limbo” di una direttiva transitoria, che fissa regole e concetti da applicare sui territori in maniera disorganica. La Volo non ha alzato l’asticella di un centimetro: restano i problemi legati ai Pronto soccorso, alla carenza di medici anestesisti e rianimatori, alle liste d’attesa. L’aveva scelta Schifani, e non sarà facile tornare indietro. Ma alla luce dei fallimenti (evidenziati tempo addietro da una durissima presa di posizione di Fratelli d’Italia sulle prooghe Covid), la sua posizione traballa.

Alberto Paternò :

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