Il “partito inclusivo” che è diventato Forza Italia – merito di Schifani e del suo vicerè, Marcello Caruso – a qualcuno potrebbe iniziare a stare un po’ strettino. Soprattutto in ottica Europee. Gli ultimi innesti, infatti, mirano a Strasburgo: la Chinnici, che è già eurodeputata, va in cerca di conferme dopo le due legislature scucite al Pd; Giancarlo Cancelleri, rimasto a spasso per qualche mese a causa delle regole ferree del Movimento 5 Stelle, e tuttora a corto di incarichi, andrà ricompensato in qualche modo; ma anche Daniela Cardinale, la figlia dell’ex ministro Totò, e Gaetano Armao, ultimo innesto alla Regione, aspirano legittimamente all’Europarlamento. Schifani, però, non ha fatto bene i calcoli: ben che vada, Forza Italia riuscirà ad eleggere un paio di deputati (nel 2019 è stato soltanto uno: Giuseppe Milazzo); aver garantito una corsia preferenziale alle new entry, inoltre, non depone a favore della meritocrazia e della militanza.

Il nuovo corso sembra aver cancellato le tracce dei berluscones delle origini. L’emarginazione di Gianfranco Micciché e del suo cerchio magico è stata voluta con fermezza, e ottenuta da Berlusconi agitando lo spauracchio di un esodo verso FdI. Ma altri autorevoli esponenti cominciano a perdere posizioni. Uno su tutti è l’assessore all’Economia, Marco Falcone, sopraffatto dalla spinta di Nicola D’Agostino – ex renziano – sul versante etneo. Un paio di segnali inequivocabili si sono abbattuti sull’ex pupillo di Musumeci (già arcirivale di Micciché): la nomina di Armao in qualità di esperto su questioni extraregionali (in materia di conti pubblici); e la decisione di puntare su Marcello Caruso a Catania, dove è stato nominato assessore da Trantino in prima battuta. Il commissario regionale del partito, che in teoria dovrebbe mettere d’accordo tutti, è il punto di caduta per sancire una tregua temporanea fra le ali di Falcone (che resta commissario provinciale) e D’Agostino. I due faticano a prendersi, e fra l’altro Schifani è rimasto deluso per la gestione dell’ultima Finanziaria, dove è stato lasciato troppo margine di manovra alle opposizioni, poi sfociata in una seria impugnativa da parte del Consiglio dei Ministri: “Non succederà più”, ha promesso.

Gli amorosi sensi della campagna elettorale e dell’avvio di legislatura sono già un ricordo sbiadito. Ma al netto dell’assessore, che è a rischio in caso di rimpasto, altri forzisti potrebbero risentirsi per l’eccessivo movimentismo di Schifani, che sta trasformando il partito in un taxi, accogliendo a bordo personaggi che nulla hanno a che fare con la storia di Forza Italia. Questo atteggiamento, alla lunga, potrebbe rivelarsi un boomerang. E qui torniamo allo striscione del via: l’operazione Strasburgo. Nella circoscrizione Isole (Sicilia e Sardegna) avrà un posto garantito Caterina Chinnici, da due legislature al parlamento europeo. Altrimenti non avrebbe alcun senso la manovra di Antonio Tajani, che ha strappato al Pd una delle sue risorse più preziose. Nonché una delle rivali di Renato Schifani alle ultime Regionali. La Chinnici, per la sua storia familiare e per il suo vissuto, è stata un enorme catalizzatore di voti. Una volta eletta, sparisce. Ma questa è un’altra storia. Sarà, comunque, una validissima concorrente per chi, come lei, punta a un seggio nel cuore dell’Europa.

I competitors non le mancano e, guarda caso, sono altri (ex) rivali del governatore. Diretti, come Gaetano Armao, che il 25 settembre si candidò come punta di diamante del Terzo polo (raccolse un misero 2%); o potenziali, come Giancarlo Cancelleri, che per ben due volte tentò di conquistare Palazzo d’Orleans (entrambe le volte contro Musumeci). Un tris d’assi che toglie spazio a Daniela Cardinale, la figlia dell’ex ministro della Comunicazione, che di recente ha intrecciato la propria strada con quella del presidente della Regione. Molti addetti ai lavori ritengono funzionale l’avvicinamento fra Schifani e Cardinale, già avvenuto in campagna elettorale, quando l’allora candidato del centrodestra si concesse un bagno di folla a Mussomeli, il paese dell’ex ministro e della figlia. La quale, nel corso della scorsa legislatura, decise di sganciarsi dal Partito Democratico aderendo al gruppo Misto (e poi evitando di candidarsi alle Politiche).

La presenza di Totò Cardinale alla convention del Politeama, due sabati fa, è il segnale di un asse che sembrava solidissimo (c’era anche Beppe Picciolo, da sempre suo fedelissimo). I nuovi ingressi in Forza Italia, però, rischiano di far tramontare molte ipotesi sul nascere. Tra cui la candidatura della Cardinale, che non ha più la strada spianata per l’Europa. Più in generale, la smania della campagna acquisti potrebbe inficiare le promesse e gli impegni già assunti da Schifani con l’universo forzista, specie coi rappresentanti della prima ora che non potrebbero tollerare un’operazione scavalco così plateale. Le Europee sono sempre stato un momento di confronto anche gli altri partiti: basti pensare che nel 2019 Micciché trovò spazio nella sua lista a Saverio Romano, esponente di Noi con l’Italia, e Dafne Musolino, il braccio destro di Cateno De Luca a Messina, che contribuirono all’ottimo risultato del partito. Venne eletto soltanto il primo classificato, Giuseppe Milazzo, che nel volgere di qualche mese avrebbe scelto di puntare su un altro cavallo (Fratelli d’Italia).

Affidarsi solo ed esclusivamente ai “papi stranieri”, come Cancelleri, potrebbe determinare lo stesso esodo che Schifani aveva “minacciato” con la permanenza di Micciché. Solo che sarebbe lui, il governatore in carica, a patirlo. Va sempre ricordato inoltre che, al netto delle dichiarazioni di facciata, la campagna acquisti di Schifani ha innervosito i cugini più celebri di Fratelli d’Italia, che mal sopportano questa apatia sulle questioni amministrative: l’esecutivo viaggia a scartamento ridotto, l’aula non esamina leggi, e i buoni propositi rimangono in soffitta. Il “tagliando” al governo, in programma dopo le elezioni Amministrative, potrebbe trasformarsi in un regolamento di conti di cui la Sicilia non avverte alcuna esigenza. E la conferma plastica che in questo esecutivo si parla di tutto, tranne che di governo.