Per dirla alla Roberto Alajmo, “uno faceva il giornalista” ed era un tipo irregolare come buona parte dei giornalisti. Lui magari esagerava per star fuori dall’ordinario, tanto che gli si erano create intorno divertenti leggende. Un aneddoto a mo’ d’esempio. Fine anni ’80. Arriva a Palermo Umberto Eco, atteso all’Università, Facoltà di Lettere, non ci si ricorda più se per un premio, un seminario, un incontro con studenti e docenti. Il giornalista, che è di turno in redazione, si rammarica: «Ah, c’è Umberto a Palermo? L’avessi saputo prima, sarei venuto a salutarlo…». «Perché, lo conosci?». «Certo che lo conosco, è un caro amico». Occhiate incredule. Riesce comunque a svincolarsi e, a fine pomeriggio, tra la calca degli studenti e dei giornalisti che si affolla davanti all’illustre semiologo, lui gli si avvicina con discrezione. Ma è Eco a vederlo per primo e, allargando le braccia, quasi gli si getta al collo: «Antoniooo, che ci fai qui?». Un minuto di caloroso abbraccio, tra gli astanti attoniti. Poi, dopo qualche battuta privata, sottovoce Eco gli fa con goliardica ironia: «Ti ricordi quando corteggiavi mia moglie?».

Antonio era Antonio Giaimo, giornalista dei Due Mondi, tra Sicilia (ennese di nascita e di morte, 1945-2018) e America del Sud. «Guerrigliero, poeta e cultore di letteratura latino-americana, innamorato delle donne, di tutte le donne, pigro come un bradipo e capace di visioni improvvise, angelo e demone», così lo descrive Antonio Ortoleva, suo collega al “Giornale di Sicilia”, nella presentazione della serata-spettacolo per voci e strumenti che gli sarà dedicata oggi, giovedì, alle 19, nel caffè letterario Al Kenisa di Enna, intitolata «Invece ce la faccio da solo», a poco più di un anno dalla scomparsa. Prima scena, quasi un flash, sotto la finestra della sua casa che sta proprio di fronte l’ingresso del caffè-libreria diretto da Michele Sabatino dove Giaimo si recava quasi ogni sera. Poi un pot-pourri di materiali eterogenei – versi e testi sparsi, brani da inchieste giornalistiche sui beni culturali, video-interviste, clip fotografiche – assemblati dal regista Gianluca Sodaro, attore Vito Ubaldini, interviste di Concetto Prestifilippo, musiche di Michele Di Leonardo, direzione artistica Walter Amorelli, con il contributo del video-artista Simone Scarpello e la supervisione di Rino Agnello e Antonio Ortoleva.

Giaimo nacque giornalisticamente al “L’Ora” degli anni Settanta. Tanta cronaca ma anche inchieste sui beni culturali in Sicilia (ne restò famosa una perché, in una puntata, raccolse le confessioni di un tombarolo di terza generazione, figlio e nipote di tombaroli). L’amore per una turista uruguayana di origini italiane, Dirce Bonardi, docente universitaria (che sarebbe diventata sua moglie e la madre dei suoi figli, Giampaolo, musicista, e Mariangela, ricercatrice all’Università Cattolica della capitale dell’Uruguay) lo portò all’Ansa di Montevideo. Dove non si limitò ad una giornaliera fatica da corrispondente. Seguì le tracce di Licio Gelli che in quel lembo di terra sull’Atlantico si era rifugiato dopo lo scandalo della P2, indagò sull’archivio segreto e sul leggendario tesoro miliardario del “Venerabile” capo della Massoneria. E poi gli incontri e l’amicizia (a volte clandestini) con gli scrittori, i poeti, gli intellettuali di un’America Latina in quegli anni oppressa dalle dittature.

Dopo tre lustri, il rientro in Italia, a Palermo, al “Giornale di Sicilia”, impegnato al desk per le pagine provinciali. Il suo cuore era rimasto ad Enna dove formò una nutrita pattuglia di giovani corrispondenti per il quotidiano palermitano e dove si ritirò quando arrivò la pensione. Dalla sua casa, animò un blog dedicato alla poesia latino-americana e intestato a Xavier Heraud, il poeta guerrigliero peruviano ucciso dalle milizie paramilitari a 21 anni.

Grande affabulatore, Giaimo, capace di spaziare dalle analisi sulla situazione politica internazionale alle nuove leve della letteratura del Sudamerica, mettendo a disposizione degli altri le sue tesi talvolta ardite o visionarie ma che spesso trovavano conferme nell’evoluzione dei fatti. Sotto il profilo amicale, un tornado, difficile stargli dietro tra improvvisi entusiasmi e altrettanto inattese depressioni. «Tutti siamo un po’ Giaimo, ma solo lui ha il coraggio di esserlo sino in fondo», disse di lui un suo amico intellettuale. Niente di più vero.