L’ultimo dispiacere gliel’ha dato Agrigento. La procura, in particolare. Che lo indaga per una pluralità di reati tra cui il sequestro di persona. Ma l’iniziativa di Luigi Patronaggio, che magari politicamente può finire persino per fare un involontario favore politico a Matteo Salvini, è solo l’ultimo dolore che la Sicilia sta riservando al caudillo leghista in questa lunga estate desnuda. Tra un selfie a torso nudo e una battutaccia sugli immigrati, il vicepremier ha collezionato nell’Isola, settimana dopo settimana, una sfilza di grane che hanno un po’ guastato la sua estate da capo del governo de facto.

La nave Diciotti, col bailamme mediatico attorno alla discutibile e pasticciata gestione del governo, ha rappresentato certo il climax di questa nemesi siciliana che si è abbattuta sul ministro dell’Interno. L’inchiesta di Agrigento, comunque vada a finire, è una grana che se da una parte offre a Salvini e compagni argomenti di sapore revanscista e frecce all’arco della retorica del perseguitato politico, dall’altra pone gli alleati grillini in una scomoda posizione. I ragazzi di Giggino Di Maio ancora una volta sperimentano l’incoerenza quando si rinfacciano loro i tweet tempestivi con richiesta di dimissioni entro cinque minuti ad Angelino Alfano allora ministro dell’Interno e indagato per abuso d’ufficio, status che non poteva essere compatibile, teorizzavano gli statisti in erba della Casaleggio sui social network, con quello di vertice politico delle forze di polizia.

Ma non c’è solo lo zelo di Luigi Patronaggio, col conseguente quarto d’ora di celebrità nazionale per la procura agrigentina, a rifilare sberle a Salvini. La Diciotti ha aperto una grande danza di ribellione, che accanto alle solite Boldrini ai soliti piddini ha visto partecipare nuovi scatenati critici. Come i vescovi siciliani, in primissima fila, anzi proprio in trincea, contro il governo. Il vescovo di Noto, monsignor Antonio Staglianò, delegato della Conferenza episcopale siciliana per le migrazioni, è intervenuto sulla vicenda con durezza, evocando addirittura la possibilità di uno sciopero della fame episcopale. E la sua sortita è stata l’ultima di una serie, che nelle settimane precedenti ha visto i vescovi siculi bacchettare la linea salviniana sull’immigrazione, dal cardinale Franco Montenegro al vescovo Domenico Mogavero, dal citato Staglianò all’arcivescovo di Palermo Corrrado Lorefice, a cui il ministro rispose per le rime sui social.

Non solo i vescovi, anche gli ex alleati politici hanno attaccato Salvini dalla Sicilia. Gianfranco Micciché gli ha pure dato dello “stronzo” su Facebook, prima di recarsi a Catania a portare biancheria di ricambio ai disperati della Diciotti. Renato Schifani, con una cifra meno guascona e più istituzionale, ha incalzato Forza Italia a “battere un colpo” per prendere le distanze dalle mosse leghiste sulla tormentata vicenda.

La cena di Messina

Insomma, è stata una Sicilia amara per Salvini. Anche quando, la sera del disastro del ponte Morandi crollato a Genova, il ministro non ha rinunciato al suo tour isolano con tanto di cena a base di pesce e vino bianco, le cui foto finite si Facebook hanno scatenato polemiche, bollate dal “Capitano” come sciacallaggio. Il tutto mentre la Lega cerca di organizzarsi nell’Isola, con una campagna acquisti che il Carroccio gestisce con cautela perché non finisca per apparire come una raccolta di pezzi di risulta. Dopo anni di improperi, dimenticati, al Sud, una nemesi sicula insomma sembra abbattersi sul Carroccio nel momento di massima gloria. Resta da capire se durerà il tempo di un acquazzone agostano o se segnerà l’inizio di una riorganizzazione in chiave antipopulista.