E’ stato detto tutto. È stato detto tanto. A volte non si sa più che scrivere su ciò che accade.

Però io oggi sono stata a pensare a quel ragazzo di soli venti anni che muore e lascia qui una vita sbriciolata e poi sono uscita. E ho trovato una vita che rideva, una vita che brindava, una vita che suonava musica dal vivo.

Io non ero né viva né morta. Mi sentivo a metà. Estranea all’una e all’altra. Ma la cosa che più mi angosciava era quel senso di continuità. È qualcosa di innato. Ce l’hanno dato per sopravvivere.

È un istinto; qualcuno muore e altri brindano alle loro vite. È assolutamente fisiologico ma io l’ho guardato dall’esterno e ho provato tenerezza. Per noi che restiamo. Per noi che la diagnosi di malattia ancora non ci ha toccato. “Per fortuna non tocca a me”.

È una roulette russa questa vita. Se non tocca a te, continui e vai avanti. Tira i dadi. È una scommessa continua dove noi con le nostre paure, andiamo avanti sperando che non tocchi a noi. Chi non lo ammette non accetta la realtà!

Abbiamo paura tutti, sempre, ogni giorno; ma questo non ci spinge a vivere meglio. Non ci convince ad amarci di più. Non ci persuade ad avere una vita più sana, posto che serva.

Abbiamo tutti paura ma poi ci passa, facilmente. Ci rimarginiamo sempre, con un brindisi, con un trenino a Capodanno, con un’illusione di immortalità.