“Dobbiamo tornare a lavorare. Continuando così, la istituzioni politiche faranno il gioco della criminalità, consegnando la Sicilia e i siciliani alla mafia, che attraverso la diffusa pratica dell’usura avvicinerà la gente in difficoltà e grazie alla liquidità proveniente da attività illecite, proverà a “estorcere” le aziende commerciali ormai moribonde”. Patrizia Di Dio, presidente di Confcommercio Palermo, si fa interprete del grido disperato di migliaia di imprenditori e commercianti e sottolinea che dall’1 febbraio occorre riaprire, pur con il mantenimento di tutte le opportune misure di sicurezza. “L’emergenza sanitaria – insiste la Di Dio, mai tenera con il governo regionale – è stata gestita in modo grottesco sulla pelle delle aziende e delle famiglie, gli aiuti somigliano a una elemosina, si vuole impedire il sacrosanto e inalienabile diritto costituzionale alla libertà d’impresa e al lavoro. Chiediamo alle istituzioni che ci sbarrano le saracinesche: cosa farebbero al nostro posto, senza pane per sopravvivere?”.

“Non possiamo più stare chiusi. Come viviamo? Questa chiusura da chi sarà rimborsata? Come possono sopravvivere le famiglie di coloro ai quali viene impedito di esercitare la propria attività? A breve, se non è già successo, molti imprenditori siciliani saranno tra le fauci della criminalità e degli strozzini – insiste la presidente di Confcommercio Palermo -. Il diritto al lavoro non può essere ucciso dal diritto alla salute. Devono coesistere entrambi”.

“È sotto gli occhi di tutti la scarsa efficacia dei provvedimenti finora adottati – spiega la Di Dio -. I politici prendono decisioni improvvisate sulla base di dati che, alla luce di quanto sta emergendo in Lombardia e come ammettono tanti addetti ai lavori, sono falsati da errori madornali, ingannevoli e inficiati da duplicazioni. Fa male sentire minacciare, ancora ora, un ulteriore prolungamento delle restrizioni da parte di chi – evidentemente avulso dalla quotidiana realtà – non ha compreso la gravità della situazione e continua a non programmare per tempo gli adeguati sostegni economici per quelle attività imprenditoriali che hanno visto crollare i propri fatturati senza alcuna colpa. Adesso basta: onesti sì, fessi no”.

“Troppe le promesse non mantenute e nessuna reale visione d’insieme. Gli imprenditori – conclude la Di Dio – si ritrovano, ormai da un anno, a non poter programmare le proprie attività, a non poter garantire più occupazione ai propri dipendenti, a non poter assolvere alle scadenze tributarie, a non avere più altre possibilità di indebitamento con le banche – ammesso che sia opportuno indebitarsi senza avere una corretta visione del futuro – e avendo già dato fondo ai propri risparmi nel tentativo di portare avanti con dignità e onestà le proprie imprese”.

Anche i ristoratori pronti allo sciopero fiscale

“Le scelte fatte su bar e ristoranti ci sembrano inspiegabili. E oggi non sappiamo più a chi rivolgerci”. Giovanni Trimboli è il presidente provinciale dei ristoratori della provincia di Catania di Fipe-Confcommercio. Il rappresentante di una categoria che non ha più voce, e nemmeno tanta voglia di reclamare “un’indagine epidemiologica che accerti i contagi nei locali di somministrazione”. “Anche uno studio della OMS (l’organizzazione mondiale della sanità) – spiega Trimpoli al quotidiano ‘La Sicilia’ – conferma che bar e ristoranti restano luoghi sicuri dopo aver adottato tutti i protocolli e le sanificazioni”. Non basta. Nessuno ha voglia di riagganciarsi alle evidenze scientifiche. Nessuno riesce a dare spiegazioni a questo popolo in disarmo.

Gli esercizi pubblici si limitano al servizio d’asporto o al domicilio, mentre là fuori ci si assembra e il dato dei contagi s’impenna, anche senza andare al ristorante: “Le zone rosse o arancioni non funzionano senza un controllo capillare e severo. E alla fine a pagare siamo solo noi, che da circa un anno non produciamo reddito e, per intenderci, i ristori non ristorano un bel nulla. La maggior parte delle 28 mila aziende dell’Isola del settore somministrazione è allo stremo. E’ giunta l’ora di sedersi attorno a un tavolo con un progetto che punti all’apertura delle nostre aziende e miri a ottenere un risultato comune. Chiederemo un confronto a Musumeci”, anche se, secondo Trimboli, “siamo davanti a un presidente che ha perso lo smalto del combattente usato in campagna elettorale”.

Sulla stessa linea Dario Pistorio, presidente regionale di Fipe Confcommercio: “Se lavorare non è più un diritto non capiamo perché debba essere un dovere pagare le tasse. Ci auguriamo che non si continuino a tartassare le imprese con F24 e utenze da pagare. Stiamo valutando l’idea di uno sciopero fiscale che rimane l’unico mezzo per poterci proteggere da una classe politica che spesso ci appare sorda davanti alle richieste d’aiuto”.