Dire che non funziona quasi nulla non è voler spargere paura. Bensì essere realisti. Lo confermano i morti, i ricoveri, la corsa inafferrabile del virus anche in Sicilia. E’ giusto compiacersi quando la curva cala, e non perdere mai la speranza. Ma sarebbe un errore non soffermarsi sui solchi scavati dal “nemico invisibile”, che ogni giorno rende vane e inattuali le prospettive di ritorno alla normalità. Ci vorrà del tempo. Il professor Walter Ricciardi, rappresentante italiano presso l’Oms (l’organizzazione mondiale della sanità), ha chiarito meglio il concetto: “Se fossimo nel corso della seconda guerra mondiale – ha scritto di suo pugno su Avvenire – non saremmo nel 1945, quando già si poteva guardare alla Ricostruzione, ma nel 1941, in pieno conflitto, che potremo vincere solo se baseremo le decisioni sull’evidenza scientifica e su un’organizzazione consapevole, disciplinata ed efficiente”. Vediamo a che punto siamo.

L’ultima novità proveniente dagli esperti cromatici della pandemia, è che la “zona rossa” non funziona. Ovviamente non è ancora possibile misurarla: nel senso che, se i non sono cambiati i criteri secondo i quali il virus ha 10-14 giorni di incubazione (non ci risulta), non è possibile verificare se e quanto le chiusure determinate dall’ultimo Dpcm del governo nazionale, in vigore da domenica scorsa, abbiamo inciso nell’abbattimento della curva dei contagi. Poco o pochissimo avrà inciso l’ordinanza di Musumeci, che vieta le visite, due per volta, a casa di parenti e amici. Eppure il presidente della Regione – dopo aver osservato qualche video e senza alcuna evidenza scientifica alla mano – continua a riferire che “i siciliani non hanno capito la gravità del momento”, e minaccia il lockdown. L’unico dato utile l’ha offerto Google: secondo il motore di ricerca che monitora gli spostamenti dei possessori di Apple Watch, iPhone o iPad, gli spostamenti (a piedi) sono calati in maniera impercettibile: dal 6 al 12% rispetto alla settimana “arancione”. Abbastanza da far gridare allo scandalo.

Ma Musumeci non considera, forse finge di dimenticarlo oppure non è in grado di dare risposte, che i controlli sono quasi azzerati e che non è possibile pretendere – coi negozi aperti – che la gente se ne stia murata in casa (molti hanno parlato di “zona rosa pallido”). Coi negozi aperti, chiunque ha diritto a raggiungerli. Non c’entra la responsabilità, se si adottano le giuste precauzioni. C’entra la legge, semmai. Che in alcuni aspetti è fallace. In Sicilia, zona rossa, sono aperti librerie, cartolerie, negozi di abbigliamento per bambini, rivendite di giocattoli, ferramenta, negozi di articoli sportivi, fiorai, profumerie e molte altre attività vietate durante il lockdown di marzo. Qualche settimana fa il Comitato tecnico-scientifico siciliano aveva evidenziato alcune necessità: come quella di sospendere l’asporto alle 15, i supermercati alle 18, e far chiudere in anticipo anche parrucchieri e barbieri. Musumeci aveva utilizzato quelle indicazioni per fare pressione al governo nazionale e ottenere la “zona arancione”, nonostante i parametri fossero più inclini al giallo. E nelle ultime ore torna a giocare al rialzo, prova ad impressionare. Prova a recitare il ruolo del padre burbero, che “se non fai i compiti resti per due settimane in camera tua”. Persino la Lega, un partito della sua coalizione, lo ha invitato a ragionare un attimo.

Ma il presidente è manchevole su altri aspetti: intanto, nel rapporto coi sindaci e coi prefetti, che lui stesso – a parole – aveva invitato alla massima collaborazione per coordinare le attività di controllo delle forze dell’ordine e della polizia municipale, allo scopo di far rispettare le restrizioni (con De Luca, che a Messina ha guai grossi, non parla nemmeno più); nel rapporto coi cittadini, che vengono privati del diritto della mobilità, addirittura per far visita e parenti, in cambio di non si sa quale vantaggio, se non l’abbattimento dei rapporti sociali anche in ambito familiare. E nei confronti di tutti gli operatori del commercio, degli imprenditori, dei libero-professionisti, che subiscono passivamente le decisioni della politica, e spesso sono costretti a rimanere aperti per evitare di dover chiedere ristori. Che, fra l’altro, la Regione non ha mai elargito.

Su questo tema, scottante, la politica è muta. Inerme. A tratti anche insensibile. La Finanziaria strutturata nove mesi fa con misure finalizzate a contrastare la pandemia, infatti, è lettera morta. Lo abbiamo detto mille volte. Di quel miliardo e mezzo stanziato ragionevolmente dall’assemblea regionale, di quella potenza di fuoco inaudita, non sono rimaste che le briciole: ossia le 2.300 euro finite in tasca ai proprietari delle 55 mila imprese che avevano concorso per il Bonus Sicilia: un esperimento di prestito a fondo perduto nei confronti di quelle attività stritolate dal virus e dal lockdown. Avevano partecipato a un bando per ottenere aiuti più sostanziosi (da 5 a 35 mila euro), ma il fallimento del click day e dei processi digitali della Regione, li ha costretti mestamente ad accettare una mancetta. Ma anche tutti gli altri operatori – dai ristoratori, che per lunghe settimane, prima di chiudere, abbassavano le saracinesche alle 18, agli albergatori – non hanno ricevuto un centesimo da palazzo d’Orleans. Solo vacue promesse che si sono schiantate sul muro della burocrazia e delle autorizzazioni. Dei patti con l’Europa e dei patti con Roma. Far chiudere di nuovo tutti, se da un lato può curare le ferite degli ospedali, dall’altro rischia di mandare in malora, stavolta in modo definitivo, il cuore pulsante dell’economia isolana. Che quest’anno perde 8 punti di Pil e difficilmente si riprenderà.

Detto questo, rimane un ultimo, lungo, capitolo di sconcerto. Riguarda la scuola. Il clima sembra essersi un filo acquetato: ma, semmai Musumeci dovesse davvero decidere di decretare il lockdown, la scuola non ne rimarrebbe estranea. Anzi, sarebbe la prima – forse – a fare un passo indietro. Il giorno della riapertura, dopo mille peripezie, il presidente della Regione ha annunciato che “se i dati dei contagi non cambieranno, sarà costretto a chiudere anche le scuole”. Lanciando un ultimatum a genitori irresponsabili, maestri premurosi e alunni trasecolati. Perché proprio noi? Gli ultimi dati forniti dall’assessore alla Salute, Roberto Lagalla, che però si basa sull’ennesimo screening di massa eseguito con test rapidi (e per questo meno attendibile) segnala che solo l’1,01% della popolazione scolastica è risultata “positiva”. Lecito per sperare che dal primo febbraio possano tornare in classe anche i ragazzi delle superiori, fermi ai box da mesi. Lecito per pretendere che in queste settimane d’attesa si faccia di tutto per potenziare il trasporto pubblico locale (con bus e soldi aggiuntivi, già previsti dall’esercizio provvisorio) e facilitare il ritorno in classe dei pendolari. Lecito per imporre, come ha fatto il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, misure di controllo – ci risiamo – di fronte agli istituti scolastici, allo scopo di impedire assembramenti e inutili sbaciucchiamenti di bentornato. Prima di alzare la bandiera bianca, c’è ancora un tentativo da fare.