Il primo a finire in soffitta è lo slogan di Ciccio Cascio: “Ne avrò cura”. Ora che il medico è fuori dalla partita, o comunque più defilato, chi potrà sanare le ferite di Palermo? L’unico che non ha pagato pegno alla sfiga collettiva generata dal teatrino di questi giorni, è il professor Lagalla, rimasto in sella dall’inizio alla fine. Seppur con qualche turbolenza. Gli altri – chi più chi meno – sono stati spazzati via assieme ai manifesti elettorali già affissi. Saranno costretti a un nuovo viaggio in tipografia tutti quelli che – aspiranti consiglieri – avevano fatto puntellare il proprio nome di fianco a ‘Cascio sindaco’. Ma anche Totò Lentini dovrà rimuovere la scritta ‘sindaco’ dal manifesto elettorale: tutt’al più rimane ‘Alleanza per Palermo’, il nome della sua lista. Una delle dieci pronte a sostenere Lagalla.

Scherzi a parte, sono tanti i soggetti politici rimasti spiazzati da questa ‘convergenza centrista’. Il primo, ovviamente, è Nello Musumeci, che fatica a contenere il rammarico per aver perso il primo treno. Della sua ricandidatura a palazzo d’Orleans, tenuta viva da Ignazio La Russa, si tornerà a parlare a bocce ferme. O, magari, nel corso di un summit romano (annunciato da settimane, ma ancora avvolto nel mistero) cui avrà l’onere e l’onore, però, di partecipare anche Matteo Salvini. Dopo aver fatto due passi indietro a Palermo, sarà disposto a concedere alla rivale Giorgia anche la Regione? Al momento, ciò che emerge in modo netto, è il rinvio sine die. Un duro colpo da digerire per Nello nostro, che aveva annunciato la propria ricandidatura a giugno 2021 e sostiene di essere in campagna elettorale dal suo insediamento, nel 2017. Hai voglia…

Anche Armao esce terribilmente spiazzato da questa vicenda. Infatti, dovrà candidarsi come promesso. Oppure perderà la faccia. Non che sia abituato a mettercela spesso. Alle ultime Regionali avrebbe dovuto presentare la lista degli Indignati, poi ha trovato riparo in Forza Italia, sotto il mantello di Silvio Berlusconi, e non si è neanche candidato: è diventato vice-governatore per “diritto divino”. Dopo aver maturato cinque anni di trionfali passerelle nei salotti romani, e aver portato a casa successi indicibili sotto il profilo finanziario, aveva annunciato (da mesi) di non voler rimettere piede all’Ars; e, da settimane, di essere disposto a candidarsi al Consiglio comunale di Palermo. Magari, perché no, di diventare assessore al Bilancio anche là (ché il Comune è a un passo dal default). Questa prospettiva, un po’ oscurata dal rischio di dover correre con Cascio e contro Lagalla, è tornata in auge nelle ultime ore. Una promessa è una promessa.

A dover superare la sindrome dello spiazzamento sono pure i centristi Saverio Romano e Toto Cordaro. Avevano interrotto i contatti, dopo 38 anni di amicizia, quando l’assessore al Territorio e Ambiente ha scelto autonomamente di sostenere la corsa di Lagalla, mentre il resto del Cantiere Popolare, che era il suo partito prima di comminargli l’espulsione, si fiondava su Cascio. Romano lo scaricava via Facebook senza rinnegarne il legame. Ma vogliamo mettere la riconoscenza? E adesso, che si ritroveranno insieme sullo stesso carro o ai comizi? L’uno pensava di aver rimpiazzato l’altro, e viceversa. Non è detta l’ultima parola. Chi, invece, è stato preso letteralmente in contropiede – per due volte – sono i dirigenti palermitani di Italia Viva, compreso l’attuale capogruppo a Sala delle Lapidi, Dario Chinnici. Prima dalla scelta della destra di convergere su Lagalla, poi da quella di Matteo Renzi di mandare tutti al diavolo: “Non sosterremo il centrodestra unito”. Alla fine, dissentendo dal leader e al netto di Faraone, ci saranno. In pochi e mascherati sotto un’insegna civica (“Lavoriamo per Palermo”?). Almeno loro, però, potranno risparmiarsi un nuovo salto in tipografia.