Il più grave depistaggio della storia d’Italia, quello successivo alla strage di via d’Amelio, si arricchisce di un altro capitolo sorprendente: riguarda il filone d’inchiesta aperto dalla procura di Messina, che ha deciso di iscrivere nel registro degli indagati due magistrati: Annamaria Palma, avvocato generale dello Stato a Palermo, e Carmelo Petralia, procuratore aggiunto di Catania. Entrambi facevano parte del pool che indagava sugli eccidi del ’92. Le storture di quella indagine, almeno fino a ieri, aveva portato la procura di Caltanissetta a contestare la condotta di tre funzionari di polizia, gli investigatori dell’epoca: si tratta di Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Poi, da Caltanissetta, la richiesta a Messina di verificare eventuali responsabilità da parte dei giudici. A Palma e Petralia viene contestato il reato di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa Nostra, in concorso con i tre funzionari di polizia sotto processo. Avrebbero, ognuno nei propri ruoli, costruito a tavolino falsi pentiti come Vincenzo Scarantino inducendoli a mentire e ad accusare della strage persone che sapevano innocenti. A entrambi i magistrati è stato notificato l’avviso di accertamenti tecnici irripetibili. Lo stesso provvedimento è stato comunicato alle potenziali persone offese dal reato, condannate, proprio in virtù del depistaggio, per una strage mai commessa: Urso, La Mattina, Murana, Scotto, Gambino e Vernengo hanno trascorso 18 anni al carcere duro. La Procura di Messina sta cercando di capire chi ordì le trame che portarono al depistaggio e soprattutto quale fu il movente.