Roba da non crederci. Un decreto firmato l’altro ieri da Schifani ha gettato nello scompiglio i deputati dell’Assemblea regionale. E’ il decreto numero 558. Con il quale si stabilisce che Gaetano Armao, ingaggiato come esperto dal presidente della Regione, si riduce di un quarto lo stipendio: passa da sessantamila euro l’anno a quarantacinque mila. Come mai?

I parlamentari non riescono a capacitarsi. E’ da qualche mese che la questione dei soldi agita la casta bramina: cioè quella particolare cerchia di privilegiati che, da che mondo è mondo, campa sulle spalle del denaro pubblico. Prima di Armao, un altro pagnottista – Andrea Peria – aveva scelto di rinunciare addirittura a uno stipendio di ottomila euro al mese pur di mantenere la carica di sovrintendente dell’Orchestra sinfonica siciliana; carica che il presidente del consiglio di amministrazione ha duramente contestato perché la nomina, firmata dall’assessore al Turismo, Elvira Amata, non ha tenuto conto di alcune incompatibilità così gravi ed evidenti da mettere a rischio il contributo di undici milioni che la Regione deve ancora versare alla Fondazione.

Ma se la rinuncia di Peria ha una finalità grosso modo leggibile, la scelta di Armao rimane per molti versi un mistero. Al punto che i deputati di Sala d’Ercole hanno finito per formulare – con divertimento, va da sé – le ipotesi più strabilianti e sbalorditive. Ovviamente hanno subito scartato la più semplice. Quella cioè che vedrebbe Armao attratto da una tardiva vocazione francescana e quindi votato a una vita fatta di stenti, di rinunce, di difficoltà. No, il saio e il poveraccismo non sono nelle sue corde. Anzi. Poiché è vissuto, da almeno quindici anni, a carico della Regione – prima come assessore e ora come consigliere principe di Schifani – è da escludere un repentino cambio di stile. Oltretutto lui è un affermato avvocato d’affari e in quanto tale ha legittimamente guadagnato parecchi soldi: prima come consulente di Ezio Bigotti, l’avventuriero piemontese che incassò cento milioni con un censimento farlocco del patrimonio immobiliare della Regione; e poi come consulente dell’immobiliarista Stefano Ricucci, il furbetto del quartierino, che a saldo di una parcella molto sostanziosa gli ha versato azioni di una sua società per un valore di due milioni di euro. Siamo dunque nel girone dell’alta finanza. Dove il risparmio non è proprio di casa.

Non resta che immaginare una ragione diversa. Alcuni deputati dell’Ars – ovviamente i più maliziosi – hanno ricordato il pignoramento dello stipendio che Armao ha dovuto subire nei cinque anni in cui è stato assessore al Bilancio del governo Musumeci. L’ordinanza del Tribunale civile era stata sollecitata dalla sua compagna di vita, Giusy Bartolozzi, che sosteneva di avergli prestato una notevole quantità di soldi mai restituiti. Ma l’ipotesi che possa esserci ancora uno strascico di quella azione giudiziaria non sembra percorribile: il decreto firmato l’altro ieri da Schifani non fa riferimento ad alcun atto restrittivo, né tantomeno al pignoramento che non dovrebbe più avere alcun effetto in quanto il debito sarebbe stato già estinto.

Non resta che pensare a ragioni di opportunità, anche banali. Armao – come Peria e come altri colleghi del cerchio magico che supportano il non governo di Schifani – cumula molti incarichi, il più importante dei quali è quello di presidente del Comitato tecnico scientifico, l’organismo che rilascia l’autorizzazione ambientale alle imprese che vogliono insediarsi in Sicilia. Probabilmente la Regione ha messo un tetto oltre il quale non è possibile sommare stipendi, compensi, gettoni di presenza e altre utilità. Potrebbe essere questa l’ipotesi più verosimile. Ma si sa, quando c’è di mezzo Armao anche le cose più semplici diventano nebbiose, complicate, opache.