Il rischio dell’autocelebrazione lo scongiuro subito dicendo che questa è una celebrazione di tutti. Perché lo spettacolo andato in scena ieri al Teatro Massimo – “Il crepuscolo dei sogni”, regia di Johannes Erath, direttore Omer Meir Wellber – segna una svolta nel rapporto tra arte e tecnologia, tra pubblico e artisti, tra prodotto e luogo in cui si produce. Un’inaugurazione di stagione così non si era mai vista, è non è un’esagerazione: avete mai visto tempi come questi? Ecco, se una cosa questa pandemia ha insegnato a noi che lavoriamo nel più grande teatro d’opera d’Italia è che difficoltà eccezionali chiedono reazioni eccezionali. Così tutti, artisti e tecnici, cervelli e braccia, ugole e polpastrelli, hanno messo su una macchina mai provata fino a oggi: uno spettacolo in diretta – ripeto, in diretta – pensato come un film, eseguito come un’opera, illustrato come un dipinto. Mentre una parte dell’intellighenzia internazionale dibatte sulla purezza dello spettacolo analogico e sull’ortodossia della messa cantata, noi abbiamo fatto la cosa più semplice: abbiamo lavorato coi nostri mezzi, quelli che al momento ci sono concessi, e abbiamo provato a fare quello che altri non hanno mai fatto. Uno spettacolo nuovo. Un esempio cruciale di innovazione e tradizione. Il risultato lo potete vedere qui, se vi va.

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