La riorganizzazione del personale della Regione, che passerà da una riforma annunciata da Musumeci il 21 ottobre, verterà sul concetto della “meritocrazia”. Il governatore, d’altronde, è stanco dei dipendenti che si grattano la pancia, per questo ha deciso di passare “dalla denuncia alla proposta”, avviando “un percorso che tende a premiare il merito” e consenta “un adeguato utilizzo dei dipendenti in ragione del proprio titolo di studio e delle professionalità acquisite”. Il merito, però, non è di casa nell’ultima delibera approvata dalla sua giunta, che riguarda i piani alti, vale a dire i dirigenti regionali. Il testo esitato dall’esecutivo – senza comunicati stampa e fanfare al seguito – risale al 22 ottobre, giusto una manciata di giorni fa. Nel bel mezzo di una pandemia che distrae. Si chiama “Norme in materia di personale della Regione Siciliana”. E, fra le altre cose, prevede all’articolo 1, comma 3, che “in via transitoria”, “i dirigenti della terza fascia transitano nella seconda fascia, nel limite del 50 per cento dei posti della dotazione organica, attraverso una procedura selettiva per titoli e servizi”. Servizi, non esami.

E’ questa la prima macroscopica trovata del presidente della Regione e del suo assessore alla Funzione Pubblica, Bernadette Grasso, la cui proposta di legge, risalente addirittura a prima di Ferragosto, è passata al vaglio di alcuni dirigenti generali – il capo dipartimento della Funzione pubblica, Carmen Madonia, e il ragioniere generale Ignazio Tozzo (rispettivamente l’8 e il 14 settembre) – senza colpo ferire. Due profili di terza fascia, manco a dirlo. E ora potrebbe rivoluzionare la platea dei dirigenti della Regione grazie a promozioni di massa in seconda. Una posizione utile a concorrere per gli incarichi apicali, a cui i dirigenti di terza fascia – una categoria nata in via transitoria con la legge regionale 10/2000, ma cristallizzata nel tempo – non potrebbero accedere. Non si tratta, infatti, di dirigenti veri e propri (la legislazione nazionale non li riconosce) bensì di semplici funzionari, o, come spiegava l’articolo 6 comma 1 della suddetta legge, del “personale con la qualifica di dirigente amministrativo e tecnico o equiparato”. Per legge – e qui la chiudiamo coi riferimenti normativi – ai ruoli apicali possono accedere i dirigenti di prima o di seconda fascia, oltre che i dirigenti esterni nella misura massima del 30% dell’organico.

In Sicilia, però, questa legge non vale. Non è mai valsa. E sono stati molteplici i tentativi di aggirarla. Solo che, negli anni, il commissario di Stato, la Corte Costituzionale e varie sentenze della giustizia amministrativa li hanno rispediti al mittente. Il primo, all’indomani di un’altra legge approvata dall’Ars allo scopo di rendere eleggibili a dirigenti generali “gli appartenenti alle altre due fasce” (esclusa la prima), tirò in ballo l’articolo 97 della Costituzione: la sua violazione avrebbe comportato il cattivo funzionamento della Pubblica amministrazione. Ma, come detto, i vari governi che si sono succeduti hanno sempre ignorato “la regola”, agendo di testa propria. Vuoi per la moria di profili utili (sono appena tre i dirigenti di seconda fascia in organico, contro i 1.200 di terza), vuoi per l’indole di tracotanza che attanaglia Palazzo d’Orleans. Non ha fatto eccezione Musumeci, che l’estate scorsa ha proceduto alla nomina dei nuovi dirigenti generali senza tener conto – come chi l’ha preceduto – di quanto stabilito dalla giurisprudenza. Provando a sfangarla come sempre.

E ora, proseguendo sull’onda lunga del compromesso storico, si è riservato la chance di riformare tutto. Alla luce del sole. Il disegno di legge approvato in giunta, che dovrà passare dall’Assemblea regionale, prevede all’articolo 2 che “la dotazione organica della dirigenza è determinata in 32 unità per la prima fascia dirigenziale ed in 900 unità per la seconda fascia dirigenziale, ed è rimodulata con cadenza triennale”. E, inoltre, all’articolo 3, che i dirigenti della terza fascia transitano nella seconda “attraverso una procedura selettiva per titoli e servizi, secondo i criteri che saranno stabiliti con decreto dal Presidente della Regione, previa delibera della Giunta”. Ma, si precisa all’articolo 4, “la terza fascia del ruolo unico della dirigenza è mantenuta ad esaurimento e la distinzione nelle tre fasce dirigenziali non rileva ai fini del conferimento di tutte le tipologie di incarichi dirigenziali”. Una forma di sanatoria. Anche se l’inquadramento in seconda fascia, che avverrà quasi in massa date le circostanze, “non comporta nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.

Insomma, tutto normale? Manco per idea. Rispetto alle nomine di qualche mese fa, l’on. Nello Dipasquale (Partito Democratico) aveva presentato un’interrogazione al presidente della Regione, che non gli aveva mai risposto, e un esposto alla procura. L’obiettivo è capire se le nomine siano viziate da principio di illiceità. E se, eventualmente, ci sia stato dolo da parte dei decisori. Ma anche su questa legge che verrà sottoposta a Sala d’Ercole, ci sarebbe da ridire. A partire dal metodo di reclutamento: la procedura selettiva per titoli e servizi. In pratica basta fornire il curriculum. A differenza di quanto suggerisca l’articolo 6, comma 5, della legge regionale 10/2000. “In sede di prima applicazione, alla seconda fascia dirigenziale accedono i dirigenti superiori amministrativi e tecnici o equiparati, in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge, in possesso di laurea e ove non ostino specifiche ipotesi di responsabilità disciplinare. Agli eventuali posti residui accedono (…) i dirigenti della terza fascia a seguito di concorso per titoli ed esami, fermo restando il possesso del titolo di studio richiesto per l’accesso alla carriera”. Titoli ed esami.

Come ribadiva la Corte dei Conti nella relazione al rendiconto generale della Regione, anno 2018, richiamato negli allegati all’ultima delibera di giunta: “A distanza di quasi vent’anni questa anomalia ordinamentale permane, con l’effetto distorto di non rinvenire più personale dirigenziale in prima e solo sparute unità in seconda fascia (…), mentre la totalità delle unità dirigenziali risulta inquadrata in terza fascia in distonia con quanto avviene a livello statale e con una palese asimmetria, in molti casi, tra inquadramento giuridico e attribuzione di funzioni e responsabilità”.

Ma non c’è alcun accenno a promozioni di massa, fra l’altro automatiche e senza concorso. La magistratura contabile si limita a evidenziare come “non può prioritariamente che darsi attuazione ad una compiuta riforma della dirigenza regionale, più volte annunciata, ma mai realizzata”. Che bisogna, insomma, superare la terza fascia dirigenziale, un istituto “fantasma”, disconosciuto dalla Funzione pubblica di Roma. Ma in questo modo no, è un obbrobrio, e va contro l’articolo 97 della Costituzione e tutta la giurisprudenza degli ultimi vent’anni. Servirebbe – ma questo Musumeci & Co. lo sanno benissimo – un concorso, a garanzia della parità di trattamento fra interni ed esterni, in cui siano previste delle procedure comparative, con esami, fra tutti i candidati. Un modo, insomma, per esaltare il merito. Questo sconosciuto.