C’è uno scandalo che puzza di marcio e un silenzio che puzza di connivenza. E in mezzo ci sono 91 milioni di euro, pagati dalla Regione estero su estero a un imprenditore di Pinerolo, un avventuriero con degli amici influenti, che al momento si trova ai domiciliari con l’accusa di corruzione. Si chiama Ezio Bigotti. Ma c’è anche la Regione Sicilia che, non solo non riesce a risolvere il mistero di un censimento costato carissimo e imprigionato in un server, che mai nessuno ha letto, ma ne propone un altro – da affidare al dipartimento tecnico di Palazzo d’Orleans e al Genio Civile – per ottemperare in tempo utile alle richieste della Corte dei Conti, la quale, in questa trama all’apparenza molto articolata, non ha mai riportato a galla i responsabili di tali nefandezze. E ora chiede, in sede di commissione paritetica, di conoscere lo stato dell’arte del patrimonio immobiliare della Regione.

Il quadro pare un Picasso, ma si rivelerà un Monet. Più semplice del previsto. Prende spunto da quanto è accaduto all’Ars un paio di giorni fa, durante la discussione del “collegato” alla Finanziaria. Referente l’assessore all’Economia Gaetano Armao. Il governo Musumeci inserisce nel testo l’articolo 11, relativo alla “ricognizione straordinaria del patrimonio della situazione patrimoniale della Regione”. Finché un deputato grillino, Nuccio Di Paola, se ne accorge: “Ma non era già stato fatto un censimento?”. La risposta è: sì, ovvio che è stato fatto. Risale al 2009 – rientrava nell’ambito della vendita e dismissione del patrimonio ordinato dal governo Cuffaro con la cessione di 33 edifici a un fondo immobiliare – ed è costato una montagna di soldi: 91 milioni di euro.

In un’inchiesta giornalistica di qualche tempo fa su Repubblica, il collega Antonio Fraschilla rivelava, però, che i dati finali di quella ricognizione, affidata a una società mista pubblico-privata (Sicilia Patrimonio Immobiliare), mai nessuno sia riuscito a consultarli. Il motivo lo ha spiegato in aula l’assessore Armao, che di questa storiaccia è parte in causa più di quanto egli stesso ammetta (“E’ una situazione che ho ereditato e non determinato”). Nella veste pomposa di vice-governatore, martedì pomeriggio, ha affermato che “la Regione ha acquisito il server, ma non risulta disponibile la password. Abbiamo fatto un’intimazione alla società, ma i dati non sono ancora entrati in nostro possesso. Non sappiamo quanto ci vorrà, ma trattandosi di dati risalenti a 6-7 anni addietro, è necessario aggiornarli. Per questo vi invito a votare l’articolo. La Corte dei Conti ce lo chiede”.

Pur ritenendo che “non è questo il luogo in cui discuterne”, Armao ha aggiunto una spolverata di dettagli alle controversie, già note, del passato: “Sì, è la questione di Sicilia Patrimonio Immobiliare – ha confermato, cercando riparo dal fuoco grillino – Oltre al contenzioso in essere, ci sono stati una serie di accertamenti da parte della procura della Corte dei Conti e della Procura della Repubblica, che ha anche sequestrato degli atti”. Ma l’assessore all’Economia, nonostante tutto, ha perorato la causa di un secondo censimento: sarebbe stato più sbrigativo che risolvere una spy story di durata decennale. La cocciutaggine del Movimento 5 Stelle, però, lo ha convinto a rinviare l’articolo in prima commissione per ulteriori approfondimenti.

Per cogliere il motivo di tanto imbarazzo e di tanta arroganza, va fatto un passo indietro nel tempo, quando Armao – qui subentra nella sua seconda veste – era assessore al Bilancio del governo Lombardo. Siamo nel 2010 e lui da assessore decide di bloccare i pagamenti della Regione a favore di Sicilia Patrimonio Immobiliare, generando due arbitrati tuttora in atto, che rischiano di costare alle casse della Regione ulteriori 49 milioni. Che sommati ai 91 già versati, farebbero lievitare il prezzo di questo censimento fantasma a 140 milioni. Pazzesco. Peccato che non si conoscano i termini di questo contenzioso, né la linea della Regione, tanto meno chi sono i professionisti incaricati di sbloccare la vertenza. L’unica certezza, comunque vada, è che si tratterà di una clamorosa fregatura. Di uno scandalo su cui nessuno – da Musumeci alla commissione Antimafia – ha mosso un dito. Solo Maria Mattarella, segretario generale della Regione, avrebbe chiesto nei giorni scorsi agli uffici i faldoni dei due arbitrati per vederci più chiaro. Solo lei. Fino a un pomeriggio qualunque a Palazzo dei Normanni.

Quando al teatro dell’onestà, si riprendono la prima fila i 5 Stelle: “La Regione spende 91 milioni di euro (dati ad una società privata) per mappare i suoi immobili e se ne dimentica. Poi, viene in aula e ci racconta di avere il server, ma non la password per accedervi e quindi propone di fare una ricognizione con gli uffici del Genio Civile (a pagamento). Io queste cose non le posso sentire e gliel’ho detto in maniera chiara e tonda – ha tuonato il deputato Antonio De Luca – I soldi dei siciliani non si buttano e se qualcuno ha sbagliato deve pagare!”. Non che il partito di De Luca, e di Cancelleri, e di Di Paola, abbia smosso mari e monti per far emergere dalle secche questa storia. L’ha sempre trattata con i guanti gialli, impegnato com’era a far la guerra su pensioni e vitalizi.

Una storia cominciata nel 2007, quando il governo Cuffaro affida la “valorizzazione, trasformazione e commercializzazione del patrimonio immobiliare della regione e degli enti vigilati e finanziati” a Sicilia Patrimonio Immobiliare, una società partecipata al 75% dalla Regione. Il restante 25% è nelle mani di Psp Scarl, un raggruppamento temporaneo di imprese di cui fa parte Sti Servizi Srl (oggi Exitone Spa), la società di un avventuriero di Pinerolo, Ezio Bigotti, che risulta ben ammanicato con la politica (è amico di Denis Verdini e il suo nome compare nelle carte del processo Consip). Oggi si trova agli arresti domiciliari per lo scandalo corruzione al Consiglio di Stato – era un protetto degli avvocati Amara e Calafiore di Messina – ma in passato vantava buoni uffici anche dalle parti di Armao, che era stato suo consulente personale (ecco la terza veste).

Bigotti, in realtà, è il referente di Sicilia Patrimonio Immobiliare (tutt’oggi risulta amministratore delegato della società, ormai in liquidazione), ma il sospetto è che i 91 milioni (il corrispettivo per due anni di lavoro) andati alla sua cordata, che faceva capo alla Finanziaria Bigotti, detenuta per il 45% da Lady Mary II, una società con sede in Lussemburgo, siano finiti proprio lì, in Lussemburgo, noto paradiso fiscale. Volatilizzati. Riassumendo: un censimento della Regione gonfia le tasche di imprenditori senza scrupoli che portano i soldi all’estero. I quali, anziché ringraziare per l’inaspettata benevolenza, ricorrono a un contenzioso – “colpa di Armao che blocca i pagamenti”, dicono – e tolgono alla Regione la password per accedere al server e poter godere, in questo modo, di un lavoro che si preannuncia scrupoloso. O forse no?

Il mistero s’infittisce. Ma che il governo non abbia alcuna intenzione di far luce si è capito l’altro ieri, con quell’articolo del “collegato” che ha poco di trasparente. E che, piuttosto, sovverte – o ci prova – l’ordine delle cose e delle priorità. “L’alternativa – ha arzigogolato  l’assessore all’Economia, che in questa vicenda appare puntualmente in conflitto d’interessi – è rischiare di restar fermi e di non rispettare un adempimento di legge. Non appena sarà risolta la questione di Spi – ha aggiunto – e avremo più dati a disposizione, potremo incrociarli con quelli nuovi e agire più speditamente. Per questo chiedo l’approvazione della norma”. “Io ho ereditato questa vicenda e non l’ho determinata – ha insistito Armao, che conosce a menadito il motivo del contendere – E’ un modo per non restare impantanati. E’ un modo di dimostrare alla Corte dei Conti che avviamo il percorso”.

Chi glielo spiega, però, che il precedente percorso, sospetto e molto accidentato, non ha ancora visto, dopo dieci anni, lo striscione del traguardo? Che una sconceria di tali dimensioni e di acclarata gravità, sia confinata a un dibattito di pochi minuti fra gli sbadigli di un’aula intera? Se non è questa una questione morale, cosa lo è allora?