Nella Legge Finanziaria approvata qualche giorno fa, l’Assemblea regionale siciliana ha stabilito l’assunzione, per chiamata diretta, delle donne vittime di violenza e degli orfani di femminicidio. Una proposta di cui si è assunto la paternità l’ex Iena, oggi deputato di Sud chiama Nord, Ismaele La Vardera, ma che – al netto della scia emozionale procurata dai fenomeni di imbarbarimento della società – merita una riflessione più approfondita e matura.

E’ possibile, dopo anni di stop alle procedure concorsuali, decidere di aprire le porte degli uffici regionali, e quindi di una pubblica amministrazione, a persone che non abbiano maturato competenze e requisiti specifici, ma che portino con sé “solo” l’enorme dolore di un abuso o di una perdita? Sul piano morale nessuno avrebbe da eccepire. Ma per l’applicazione, e soprattutto per il contesto siciliano, dove da anni non si fanno più concorsi nell’ottica di una riqualificazione della spesa (e di ripiano del disavanzo), questa norma può apparire borderline. Anche in funzione di una struttura normativa generale, che andrà analizzata da Palazzo Chigi o se necessario dalla Consulta, secondo cui nella pubblica amministrazione si accede per concorso. E basta.

Nessuno pensa che le donne vittime di violenza o gli orfani di femminicidio percorrano un sentiero privilegiato. Ma qualcuno sospetta che la politica, incapace peraltro di offrire soluzioni a questioni ataviche o di fare anche una sola delle riforme promesse in campagna elettorale, possa utilizzare questo strumento in maniera impropria: cioè nel solco della propaganda. Come foglia di fico – emozionale, appunto – per trasmettere all’esterno una sensibilità che le appartiene solo a corrente alternata. Ne è prova il fatto che le tre comunità terapeutiche per le dipendenze patologiche, che non hanno trovato sponda in alcuno dei 70 deputati all’Ars, siano state escluse dal maxi emendamento finale che assegnava denari a enti, comuni e associazioni. O che per riparare ai danni provocati dagli incendi lo scorso luglio, per cui si espone al pubblico ludibrio la Protezione civile nazionale e il Ministro Nello Musumeci, si stanzino soltanto 3 milioni.

Archiviato l’inciso, resta forte l’odore di fritto, e cioè che la legge strappalacrime rivolta alle donne vittima di violenza, sia soltanto una trovata furba e populista per riaccreditare il buon nome della politica nei confronti dell’opinione pubblica. Lo ha spiegato meglio di chiunque altro un deputato del Movimento 5 Stelle, Luigi Sunseri, apparso motivatamente contrario: “A me questa norma non piace – ha spiegato Sunseri – E non mi piace perché offrire un posto di lavoro nella pubblica amministrazione non è il modo per combattere la violenza sulle donne. A me sembra, invece, l’ennesimo tentativo per sentirsi a posto con la propria coscienza con un’azione che mi appare come di mera facciata perché poi, in concreto, a cosa serve? Serve a sradicare la cultura del patriarcato? Serve ad annullare l’atteggiamento intriso di becero maschilismo di cui ogni donna è ed è stata vittima? Serve ad educare i nostri figli alla non violenza e all’instaurazione di rapporti di reciproco rispetto? Io credo di no”. E prosegue: “Assumere una donna vittima di femminicidio in una pubblica amministrazione, alla quale normalmente si accede solo tramite concorso pubblico, non è la soluzione. È solo apparenza, fumo negli occhi, fonte dell’ennesima disparità di trattamento”.

Le ha fatto eco una sua compagna di partito, donna, cioè Martina Ardizzone. Che ha centrato il punto: “E’ impensabile legiferare in questo modo per rimediare ad una “discriminazione” di trattamento sociale, in una regione che, negli ultimi anni ha tagliato le somme sulla prevenzione e che non investe un centesimo sull’educazione e sulla formazione della società sul tema”. Ed è questo che la politica non capisce o finge di non capire. Che bisogna intervenire sui problemi e non soltanto sulle emergenze. Posto che la violenza sulle donne non è un’emergenza dell’ultima ora, ma una tragedia da sempre. La morte di Giulia Cecchetin, cui ne sono seguite altre, rende necessario un intervento che parta dalla scuola e dalle radici, non da una norma di legge che garantisca l’accesso alla pubblica amministrazione eludendo i concorsi. Specie nell’anno in cui la Regione riaprirà i concorsi grazie all’Accordo con Roma. Si sarebbe potuta prevedere una “riserva” di posti per questa fattispecie, previo il superamento di una selezione (se solo il messaggio e le intenzioni si fossero conservate integre). Invece è come se l’Ars inseguisse il titolo ad affetto per fare breccia, riabilitarsi, stupire.

Di norme spot la Finanziaria è piena. Ad esempio, come comunicato dall’assessore all’Agricoltura, Luca Sammartino, sono stati stanziati “7 milioni di euro per sostenere il comparto agrumicolo attraverso l’acquisto di arance da trasformare in succhi e conserve da distribuire per scopi umanitari e di solidarietà sociale”. E per i produttori di pomodori o di cetrioli o di zucchine? Quale provvedimento è stato adottato? Ammesso che le buone intenzioni persistano, il rischio è quello di aumentare le disparità. E di ampliare il divario fra politica e vita reale (a fronte di qualche coltivatore d’arance che, nelle urne, farà valere la propria soddisfazione).

Senza fossilizzarsi sulle misure della Finanziaria, altri due provvedimenti del governo hanno avuto l’effetto boomerang della beffa. Ad esempio quello per contrastare il caro voli: la Regione, con il suono delle fanfare in sottofondo, ha dato vita a una campagna di sconti (dal 25 al 50 per cento) per i siciliani residenti e per le categorie deboli, allo scopo di alleviare l’aumento delle tariffe aeree sotto le feste. Si è rivelato un fallimento su tutta la linea (se l’intento era quello dichiarato). Infatti, tutte le compagnie aeree che hanno aderito all’Avviso di Palazzo d’Orleans, senza alcun freno inibitore, hanno incassato i soldi della Regione per poter praticare gli sconti ma al contempo si sono sentite libere di rivedere i prezzi al rialzo, in modo da raddoppiare i guadagni. I siciliani che hanno beneficiato delle agevolazioni, almeno durante le feste di Natale, si sono illusi di aver pagato meno. Ma hanno pagato sempre uguale. Pagheranno addirittura il 5 per cento in più i pendolari che si spostano in treno: il nuovo contratto di servizio con Rfi, entrato in vigore il 1° gennaio, è stato presentato come uno strumento innovativo che avrebbe comportato “un sensibile incremento dei servizi, un potenziamento delle infrastrutture e dei convogli e una riduzione del 5 per cento del costo dei biglietti”. Che però erano già aumentati del 10%. E’ stato dimezzato il rincaro, semmai.

Questo è il livello della politica siciliana, che mai come in questi casi è apparsa totalmente scollegata dalla realtà. Ne è prova il fatto che in Finanziaria soltanto 3 milioni di euro siano stati destinati agli incendi, nonostante le proteste reiterate nei confronti del Ministro Musumeci, che non avrebbe accolto la documentazione presentata dal Dipartimento di Protezione civile regionale per concedere lo stato d’emergenza. In attesa di capire se Musumeci aveva ragione o torto, ci si è appellati all’inadempienza dei comuni siciliani: solo una minima parte ha certificato i danni, mandando in blocco il sistema. Chi doveva svegliarli? La Protezione civile regionale, assieme all’assessorato competente, o l’ex governatore traslocato a Roma? Laddove la politica aveva il tempo e l’esigenza di muoversi per tempo – dovrebbe avvenire anche coi rifiuti e mille altre situazioni – perché ha dormito?

Leggi come quelle sull’assunzione diretta per le vittime di femminicidio, o provvedimenti come quello sul caro voli, potrebbero incagliarsi a breve: nel primo caso conterà il giudizio di Palazzo Chigi e, in secondo grado della Corte Costituzionale; nel secondo caso potrebbe intervenire la Commissione europea, semmai dovesse notare che gli aiuti pubblici in favore di alcune compagnie aeree, abbiano alterato il principio della concorrenza leale. In generale, la Sicilia è solita produrre atti che si scontrano con la verità fattuale della magistratura.

Quella contabile ci ha fatto sudare freddo più volte e potrebbe tornare a farlo anche in futuro: magari quando si accorgerà che il Sovrintendente della Sinfonica, per effetto di una legge regionale, occupa il suo incarico “abusivamente”. A quel punto partirebbe l’inevitabile trafila per la conta dei danni (all’erario), così come in passato altri guai – a posteriori – sono stati certificati dalle autorità competenti: la Consulta, qualche giorno fa, ha appurato che non si poteva finanziare l’Arpa col fondo sanitario. Ci ha messo anni a stabilirlo (la norma incriminata è del 2015), ma solo recentemente l’Ars si era decisa a intervenire per tappare la falla. Troppo tardi. In questa Regione è sempre troppo tardi per tutto. Tranne che per la propaganda.