Sono i giorni della Finanziaria, delle fibrillazioni e delle immancabili bugie. La maggioranza, dopo aver portato a casa (al secondo tentativo) il Bilancio consolidato della Regione, non solo non ha fatto mea culpa per aver rimediato una figuraccia; ha anche provato a nascondere le ragioni profonde delle sue lacerazioni. Con frasi del tipo: “E’ stata una distrazione d’aula risolta in 24 ore” (Renato Schifani, presidente della Regione); “L’approvazione del consolidato dimostra, se ce ne fosse bisogno, che all’interno della maggioranza non vi è alcun problema” (Carmelo Pace, capogruppo Dc). Oppure: “L’approvazione del bilancio consolidato è un chiaro risultato politico del Governo ed in particolare del presidente Schifani e dell’assessore Falcone” (Stefano Pellegrino, capogruppo Forza Italia).

Ma a recitare la parte del leone è il secondo tragico Figuccia (Lega): martedì, prima del voto finale, dirama un comunicato in cui esprime “soddisfazione per il lavoro fatto da Governo e Parlamento”; poi, misteriosamente, non partecipa alla votazione e il provvedimento si arena. Il giorno seguente, ottenuto il faticoso esito, ammette di aver dato “per scontata ieri l’approvazione del Bilancio consolidato diffondendo una nota intempestiva, ma sono sicuro che quanto dichiarato ieri varrà certamente per oggi”. E cioè? “Alle opposizioni voglio dire che non c’è nessun problema in maggioranza”. Ah no? E allora come si spiega la bocciatura – all’unanimità – in Prima Commissione della norma voluta da Schifani sugli incendi? Il solito Pellegrino, difensore a spada tratta dell’indifendibile, ha spiegato che “è emersa la necessità di una piccola correzione tecnica per renderla da subito efficace e prontamente applicabile, con un testo al quale si giungerà già lunedì in Commissione. Nessuna bocciatura quindi, tantomeno da parte di Forza Italia e della maggioranza.”

Il livello è quello appena descritto. Di un centrodestra a pezzi che non perde occasione per rendersi ridicolo. L’assessore all’Economia Marco Falcone, dopo aver archiviato la prima scoppola, ha giustificato il ritorno del Bilancio consolidato in giunta parlando di un “refuso”. Ci mancava poco che in aula partissero le pernacchie. La coalizione di governo da un lato non riesce a mettersi in moto – la proposta legislativa è paralizzata – dall’altro ha esaurito anche gli alibi. E si comporta come se i siciliani avessero tutti l’anello al naso e non fossero in grado di comprendere, con un po’ di pazienza e di esercizio critico, quello che sta accadendo nei palazzi di potere.

Riescono a mentire persino sul fatto che “è tutto apposto”. Poco prima delle dichiarazioni concilianti rilasciate a mezzo stampa, dal pulpito di Sala d’Ercole il capogruppo della Dc si era scagliato su “alcuni alleati” (la forzista Rita Dalla Chiesa, intervistata da Repubblica) che aveva catalogato i voti ottenuti da Cuffaro fra quelli “inquinati”. Poco dopo, invece, Fratelli d’Italia è arrivata a contestare il modus operandi dello stesso Pace, che aveva riunito a Palazzo dei Normanni i sindaci dei comuni agrigentini in dissesto (e persino il Prefetto) senza coinvolgere gli amatissimi alleati, a partire da Giusy Savarino. Servirebbe rifare l’inventario delle bugie, o ognuna di esse rischia di diventare un macigno devastante: sia sugli equilibri della coalizione (ieri è stata bocciata all’unanimità, in I Commissione la norma di Schifani sugli incendi) che nei confronti dei cittadini, sempre più disaffezionati verso questo modo di fare e di intendere la politica.

Ma perché la politica mente? Perché non tracciare una linea, mettersi allo specchio e provare a ricostruire un rapporto di fiducia fra i gruppi parlamentari e con gli elettori? Consumato il pasto caldo dell’ultima manovra correttiva – è stato pubblicato l’Avviso dell’assessorato al Turismo per spartire le prebende a pochi comuni “raccomandati” – l’obiettivo è arrivare in salute alla prossima Finanziaria. I presupposti, però, non ci sono. A tenere in allerta i partiti di centrodestra sono soprattutto due questioni: le nomine della sanità, che a questo punto potrebbero slittare ben oltre il 31 gennaio, e per le quali non risulta esserci alcun accordo; e la composizione delle liste in vista delle Europee. Un terreno minato dopo la rinuncia forzata a Totò Cuffaro da parte di FI. Alcuni addetti ai lavori ipotizzavano che il mancato voto dei democristiani Pace e Messina al Bilancio consolidato fosse una specie di ripicca (smentita dai diretti interessati).

E gli altri? Perché anche Fratelli d’Italia e la Lega avrebbero sentito l’esigenza di far pesare il non-voto, con conseguente imbarazzo, a questo governo sordo? E’ possibile che la leadership di Schifani (che ha già perso posizioni nel suo stesso partito a beneficio di Falcone) venga sistematicamente inficiata da ricatti e rivendicazioni? O che nessuno di questi “scienziati” (mutuando l’espressione del capogruppo di FdI, Giorgio Assenza, critico verso le nomine del presidente) sappia usare un pulsantino per esprimersi a favore e contro? E’ impensabile che cinque deputati abbiano così scarsa stima di se stessi da perorare la causa della “distrazione”. E che non riescano ad ammettere, sinceramente, che questa coalizione è partita sotto una cattiva stella e ha disperso le ragioni dello stare insieme un minuto dopo la fine dello spoglio.

Il governo non lavora ma litiga. La maggioranza idem (al massimo si spartisce le mance). E l’unica risposta alla paralisi in cui è piombata la Sicilia, è attingere alla propaganda. L’argomento di più ampio consumo, in questa fase, è la vicenda giudiziaria di Totò Cuffaro. Che diventa il bersaglio più facile di fronte all’impossibilità di indagare la questione morale nei sottoscala e dalla giusta prospettiva. Fomentata da “certa stampa” e da certe anime belle, l’ex presidente della Regione diventa così “il” bersaglio, una sorta di ecomostro da buttare giù. Quello politicamente meno agibile. E così accade che persino un partito garantista come Forza Italia, dando sfogo ai nuovi reflussi culturali, arrivi a parlare di “voti inquinati” o a pretendere di limitare la partecipazione democratica a un uomo riabilitato dalla giustizia. Dalla Chiesa e Chinnici, che forse ignorano chi sia l’altro fondatore di FI a parte Berlusconi, hanno deciso la linea, assieme a Tajani e con la sponda di Falcone, che rischia di segnare il destino di quest’alleanza siciliana. Martoriata dagli eventi e soprattutto dalle parole. In cui ci si professa uniti e un minuto dopo “non ti voto il Bilancio”. E così lo scontro prolifera.

Ma la cosa peggiore è che Schifani, leader carismatico di una coalizione tumefatta, con la propria assenza dall’aula e delle cronache parlamentari, finisce per legittimare le reazioni più scomposte. E sacrifichi l’alleato più fidato sull’altare del suo segretario Tajani e di un’europarlamentare eletta nel Pd. Dal partito “aperto e inclusivo” si è passati in poche settimane alla caccia all’uomo. Senza che nulla, al di fuori delle chiacchiere, abbia ripreso a funzionare. E’ questo il motivo per cui tutti deviano l’attenzione, o mentono. E’ un esercizio abusivo della democrazia, questo sì, nel pieno della sua deriva.