Analizzando la questione in modo cinico – lo ha fatto per tutti Giuseppe Lupo, capogruppo del Pd – più la coalizione di governo si allarga, più colleziona brutte figure. E come se non bastasse agita strali contro l’opposizione. L’ultima invettiva porta la firma di Marco Falcone, assessore alle Infrastrutture in quota Forza Italia, ed è relativa alla bocciatura dell’articolo 8 del “collegato”: “Il Movimento 5 Stelle – è il commento di Falcone – ha scritto un’altra pagina becera della sua storia, giocando sulla pelle di Forze dell’ordine, anziani, disabili e giovani studenti”. La colpa dei grillini sarebbe quella di aver sabotato la votazione di un articolo del “collegato” alla Finanziaria, che prevedeva un fondo da 10 milioni destinato all’Ast, l’azienda siciliana dei trasporti, partecipata dalla Regione, per garantire biglietti gratis alle categorie di cui sopra. “Perché destinare 10 milioni di euro per sei mesi solo all’Ast e non alle altre aziende concessionarie del trasporto pubblico? L’Ast non copre tutto il territorio regionale” ha rilevato il capogruppo Cappello. E comunque, parafrasando Gianfranco Miccichè, presidente dell’Assemblea e coordinatore regionale di Forza Italia, “l’opposizione fa l’opposizione” e se i provvedimenti non passano è colpa della maggioranza.

La questione spicciola, al netto dei biglietti gratis, è che l’Ars registra l’ennesimo stallo politico e amministrativo. Il “collegato”, una sorta di manovrina di cui da mesi si dibatte, al centro degli appetiti di molti deputati, era arrivata in aula la scorsa settimana dopo un lungo peregrinare in commissione. Ma anche in quel caso – era giovedì – ci furono degli eventi burrascosi che costrinsero Miccichè a rinviare la seduta. Non c’era l’accordo su un sub-emendamento, ancora legato al trasporto pubblico, che prevedeva di estendere i benefici di Ast (poi saltati), anche a Jonica Trasporti, un’azienda che opera nel Messinese, che esegue una manciata di tratte e conta su un bacino di 18 lavoratori. Ma legata a doppio filo ad Antonello Montante, che ne deterrebbe il 49% delle quote azionarie. Il sub-emendamento, in seguito alle polemiche, è stato ritirato dal governo. Eppure, il voto complessivo non ha cambiato di una virgola l’esito dei lavori: la bocciatura dell’articolo 8 ha riaperto le ferite all’interno della maggioranza. Anzi, ha detto un’altra cosa: che la maggioranza non esiste e, di questo passo, non esisterà mai.

Eppure, alla fine della scorsa settimana, si era costituito il gruppo “Ora Sicilia”, che – sulla carta – avrebbe portato in dote a Musumeci un voto in più, facendo salire il computo dei deputati filo-governativi da 36 a 37: quello di Luisa Lantieri, transitata dal Pd al centrodestra. Non è bastato. Perché sulle convinzioni del presidente della Regione, che mercoledì era assente, ha pesato il fantasma del “voto segreto” che è costata due sonori jab mancini alla maggioranza, finita al tappeto. Li chiamavano “franchi tiratori”. A febbraio, quando si votava la Legge di Stabilità, finirono per affossare l’articolo 7, che avrebbe garantito all’Ars di sbloccare una somma prossima a 50 milioni di euro (il “salva rischi”) a fronte di una spesa bloccata dall’ingerenza dello Stato, “colpevole” di non concedere la dilazione del maxi debito in 30 anni. Anche in quel caso Miccichè fu costretto a sospendere (“Dobbiamo trovare una soluzione perché i siciliani fuori da qui ci ammazzano”).

Ma questa pseudo-maggioranza, prima dell’articolo 7, era caduta persino sull’articolo 1 della manovra, che come ogni articolo 1 nell’universo-mondo, è l’articolo-manifesto di una legge. In quel caso, il noto modello Portogallo, la strampalata intuizione di Armao. Il progettino, studiato ad arte per rendere la Sicilia un paradiso fiscale per pensionati di tutta Europa, fu impallinato dai membri stessi della maggioranza, che votarono a favore di un emendamento soppressivo presentato da Claudio Fava, il deputato dei Cento Passi che da allora si dice stanco di “un governo che non governa. E Musumeci dovrebbe prenderne atto e discutere con l’aula se c’è la volontà di andare avanti”.

Musumeci, però, non prende atto di niente. E anche stavolta c’è passato sopra. Le brutte figure collezionate in serie dalla sua maggioranza – che il governatore, gonfiandosi il petto, non ha mai riconosciuto – non lo toccano. Almeno pubblicamente. Il leader di Diventerà Bellissima, in queste ore frenetiche di campagna acquisti (alias, mercato delle vacche) ha poco tempo da dedicare all’aula. Probabilmente darà la colpa di tutto a questa pratica scorretta del “voto segreto”, che già mesi fa gli costò l’ennesima sfuriata: “Va abolito. Chi vuole bocciare le norme ci mette la faccia”. Il senso delle cose, però, non cambia. Che i deputati della sua area di governo siano codardi, oltre che in disaccordo, non lo aiuterà a risollevarsi. Appellarsi, come ha fatto l’assessore Cordaro, al cattivo funzionamento del voto elettronico è la ricerca di un altro alibi, l’ennesimo, per tirare a campare.

Il silenzio, ancora una volta, è l’unica reazione di Musumeci. Manca, all’atto pratico, la sostanza: due assessorati vacanti, quello ai Beni culturali e al Turismo; un vice-governatore sfiduciato dal suo partito (Forza Italia); i conti pubblici sempre più turbolenti; le riforme al rilento (non ingannino i Marina Resort e la Pesca). Musumeci, tuttavia, continua a preferire le comparsate istituzionale (l’ultima con l’ambasciatore tedesco in Italia), a lavorare nell’ombra e tessere la sua tela. Politica più che altro: ci si aspetta l’adesione a “Ora Sicilia”, il movimento di Genovese, la terza gamba di Salvini, di qualche deputato qua e là. Si fanno i nomi di Figuccia e della Caronia. Lo scopo è rinforzare una maggioranza che non esiste. E prepararsi al prossimo round elettorale. Per dimostrare al Capitano di saperci fare: la Sicilia diventerà pure un feudo leghista. Ma il suo governo è sempre fermo al palo. O meglio… all’Ast.