“Non si tratta solo della sfilata, ma di raccontare una storia, di portare l’immagine della Sicilia in giro per il mondo”, dichiaravano due giorni fa i Dolce&Gabbana al Giornale di Sicilia, poche ore prima della sfilata nella Valle dei Templi le cui immagini stanno facendo il giro dei social. Il Mibac ha impiegato due anni prima di dare il permesso al duo di sfilare fra le colonne del Tempio della Concordia, e certamente aveva le sue buone ragioni, a cui non capiamo perché non abbia tenuto fede. Perfino le testate femminili più asservite al potere della pubblicità hanno osservato a mezzo instagram, fra i 21 milioni di follower, che forse, ecco, in effetti, (e nonostante la regia di Giuseppe Tornatore eh), l’allure generale era un po’ disneyana.

E’ l’effetto che ha fatto anche a noi che tanto avevamo amato, poche ore prima, il rigore filologico della sfilata di Fendi sul Palatino: di essere caduti all’improvviso in una replica di “Hercules”, con le armature luccicanti, gli elmi di latta, le veneri forse-di-Milo-ma-anche-Cnido in plastica piazzate sulla testa delle modelle, i soliti abitoni con il bustino e la gonna a ruota tanto facili da stringere ed adattare alle misure della prima cliente cinese che, questa mattina, se lo caricherà sull’aereo privato.

Abiti belli, intendiamoci, i fourreaux in particolare: tagliati ed eseguiti benissimo. Ma, in generale, uno spettacolone da Las Vegas per bambini cresciuti senza aprire mai un libro: un immenso divertissement kitsch, di certo attraente e goloso agli occhi di chi non conosce la storia della regione e la sua profonda influenza sulla cultura occidentale, un po’ imbarazzante per chi, pur apprezzando lo sforzo, e la tanta manodopera che il duo impiega nella regione, forse amerebbe una riflessione meno pacchiana sul proprio paese e l’immagine che porta nel mondo. C’erano anche le musiche di Morricone per Sergio Leone e chissà che cosa c’entravano. Forse a sottolineare che anche il settore della moda è un po’ un far west.