La cucina come espressione culturale di un popolo, e la cucina siciliana del Medioevo contaminata dalla tradizione araba, da quella spagnola e dall’umanesimo gastronomico napoletano. Un’identità economica e culturale quella della Sicilia rivolta alla cerealicoltura, che ne fa il “granaio del Tirreno”. La letteratura spagnola (il “Tirant lo Blanc” di Francesc Martorell) conferma l’utilizzo di galline e polli, pernici, fagiani e coscossone, uova in abbondanza con zucchero e cannella, confetti di zucchero, datteri, citronat e pinyonada, pasta reale con malvasia, riso con zucchero e latte di mandorla. “Cereali e zucchero sono i prodotti più utilizzati nella cucina palermitana del Medioevo”, racconta lo storico francese e medievalista, laurea honoris 2002 in Lettere e Filosofia dall’Università di Palermo, Henri Bresc, nel suo libro “Il cibo nella cucina medievale”, presentato in esclusiva a Palermo a Palazzo Reale nell’ambito della mostra “Castrum Superius”, aperta fino al 10 gennaio 2020. “Alla corte dei re normanni il cibo era abbondante, ricco e magro. Gustoso e condito con zucchero”. La Sicilia fu il primo paese europeo ad avere piantagioni di canne da zucchero testimoniate in epoca araba nel 930, che si svilupparono poi nel XII° secolo.

“Farina di grano tenero per il pane bianco, come bianco era anche il vino che accompagnava le pietanze. Carne e pesce sempre arricchiti da zucchero, classificato come spezia e non come dolcificante per un piatto prettamente agrodolce. Oggi di agrodolce è rimasta solo la caponata. Carne di uccello e pollo, agnello, manzo e cacciagione. Mentre in epoca araba era in uso la carne di montone e cammello, in epoca normanna cambia il consumo delle proteine animali. Tonno salato tutto l’anno, pesce spada, orata e pesce azzurro (apprezzatissimo), a differenza del salmone (il meno apprezzato). “È cambiata la gerarchia dei gusti”, racconta Bresc. “Pomodoro e fagioli non esistevano. Oggi sono tra i prodotti più importanti della cucina siciliana. Il pomodoro arriva dall’America nel ‘700. “La Sicilia ha dimenticato il gusto degli ovini come la carne di pecora e agnello. Mentre è aumentato il gusto per il vitello che nel Medioevo non si mangiava perché un futuro bue indispensabile per l’aratro nei campi. Si mangiava morto, di stanchezza o vecchiaia”.

La pasta era fatta di grano duro ed esisteva in ogni casa, anche se un piatto raro e prelibato. Le salse erano crude e leggere, fatte di aglio, olio e cipolla. E accompagnavano la carne arrostita o in umido oltre che il pesce raramente arrostito, che piuttosto veniva bollito. Prodotti locali quindi tranne il vino che spesso era importato dalla Calabria. “La Sicilia aveva sacrificato la vigna al grano”, spiega Bresc. Le pietanze erano conservate, a lungo termine sotto sale. I cibi già pronti nell’aceto per una resistenza di due o tre giorni. Qualità calde, umide, fredde e asciutte erano controllate in un consumo prudente dai semplici cittadini oltre che dai medici. Già all’epoca romana in Sicilia viene registrata una forte tradizione culinaria datata dagli arabi per passare al periodo dei normanni. “Il cibo del Medioevo aveva un leggero gusto affumicato cucinato sul fuoco di legna”, racconta Bresc.

“Si parla di cultura culinaria europea a cui tutti potevano attingere nonostante ognuno custodisse le proprie specificità. Oggi c’è un’apertura alle cucine asiatiche. Cambiano i gusti locali: la pasta era un cibo raro, raffinato, cotto a lungo e mangiato anche questo con zucchero, e con latte. Una cosa impensabile oggi! I dolci sono il cibo più stabile, c’era il cous cous (semolella) dolce che si mangiava con la carne. La cucina popolare aveva come standard le frattaglie, le interiora dell’animale come il fegato. Paragonabile allo street food. Anche l’aristocrazia mangiava le frattaglie perché i gusti popolari circolavano per mezzo della servitù nelle corti nobiliari. La gru o l’oca erano i cibi prelibati dei nobili che potevano avere il grano migliore direttamente in casa, dal massaro, saltando l’acquisto ai mercati. Una cultura culinaria europea fatta di contaminazioni. La Sicilia del Medioevo aveva anche il burro salato, un prodotto oggi ormai dimenticato.