Fra i cinque siciliani che entrano nella direzione nazionale del Pd c’è anche Antonello Cracolici. L’ala zingarettiana del partito ha fatto l’en plein: andranno a Roma anche Teresa Piccione e Giuseppe Lupo. La triade, contando Cracolici, che in ogni forma e con ogni mezzo ha tentato di interrompere la scalata di Davide Faraone alla segreteria regionale. La partita non si è affatto chiusa. Perché, spiega il deputato “dem”, ex assessore all’Agricoltura, “abbiamo presentato dei ricorsi per chiedere di considerare illegittime le procedure che hanno portato all’autoproclamazione di Faraone. Pretendiamo che a quei ricorsi venga data una risposta”. La guerra fredda prosegue. E se da un lato Faraone si è preso qualche giorno di tempo per motivi di carattere personale, sul fronte opposto si combatte tenacemente per inserire la “questione siciliana” nell’agenda della commissione nazionale di garanzia, nuova di zecca, nominata all’Ergife di Roma durante l’assemblea di domenica.

Oltre alla questione “giuridica”, è ancora valida la richiesta di dimissioni che formulaste all’indomani delle Primarie del 4 marzo?

“Per evitare che si apra un conflitto, mi auguro che Faraone si dimetta. La nostra gente non sopporta più le lacerazioni che hanno segnato la gestione del Pd negli ultimi mesi. Mi auguro che Faraone sappia cogliere la richiesta che arriva dal nostro popolo e favorisca la domanda di ricomposizione. Può anche ricandidarsi alla segreteria, su una piattaforma politica diversa e alternativa alla mia, purché avvenga in un processo di regole condivise, a tutela di tutti noi”.

Perché crede che le regole siano state violate?

“In questi giorni è uscita una sentenza del tribunale, che dichiara nullo il congresso tenuto nel 2017 a Napoli. Al di là della sua inefficacia – si parla del 2017 ed è già stato celebrato un altro congresso – emerge un dato giuridico importante: la sentenza afferma in maniera inequivocabile che le procedure previste dai regolamenti di un partito hanno evidenza di natura pubblicistica, perché attengono a diritti costituzionalmente garantiti dalla nostra carta”.

Cosa vuol dire?

“Che le procedure non sono optional che ci si inventa secondo la convenienza. Ma sono parte dei diritti soggettivi di ogni iscritto al partito che, come tale, ha la tutela della legge laddove il partito è un’associazione privata. E’ abbastanza chiaro che le procedure seguite per fare il congresso in Sicilia siano state violate e quindi non può che essere dichiarata nulla la procedura stessa dell’elezione di Faraone. Siamo fiduciosi”.

Zingaretti, all’assemblea nazionale di domenica, ha parlato di campo largo. Di una coalizione aperta a liberali e moderati, oltre che alle forze civiche. Ci spiega la differenza col modello Faraone, che in Sicilia ha sempre dichiarato di voler costruire un fronte alternativo alla Lega e al populismo?

“Il modello che ha perseguito Faraone è il partito della nazione in salsa siciliana. Un’entità indistinta. Noi non pensiamo di fare del Pd un partito senza identità. Siamo un partito del centrosinistra, con valori e principi che appartengono al centrosinistra e cerchiamo di rivolgerci a un’Italia che non intende rassegnarsi al governo della destra. Mentre Faraone pensa a un contenitore, noi guardiamo a un contenuto che ci permetta di costruire dei contenitori con cui percorrere un pezzo di strada insieme. E’ questo il nostro punto di forza”.

Mentre voi chiedete le sue dimissioni, l’onorevole Giuffrida (deputata a Bruxelles) ha chiesto a Faraone di candidarsi alle Europee..

“Mi sembra più che altro una provocazione. In questa fase, ma si tratta soltanto di chiacchiere, si dice che possa correre per Bruxelles la senatrice Sudano, eletta da appena un anno al parlamento nazionale, anch’ella di Catania come la Giuffrida. Ecco, mi pare di capire che la Giuffrida ritenga intollerabile questa prospettiva. Inoltre, se la Sudano dovesse andare in Europa, entrerebbe al suo posto Picciolo (segretario regionale di Sicilia Futura). Tutto assume i toni di una provocazione. Detto questo, stiamo lavorando per una lista forte e competitiva, in grado di dare rappresentanza a tutti i territori e al Partito Democratico”.

Lei si candida?

“Non rientra nelle mie corde. E al momento, anche per questioni di carattere personale, non potrei”.

Però è stato appena eletto nella direzione nazionale. L’assemblea di domenica le ha lasciato la bocca buona?

“Assolutamente sì. La cosa più importante, al di là dell’inevitabile giornata di festa per la elezione di Nicola Zingaretti, è aver messo in campo una speranza. Ridare all’Italia un luogo politico capace di essere un’alternativa alla destra di governo, che si presenta come rottura degli argini che per 70 anni hanno rappresentato la destra italiana. E’ in corso un processo di estremizzazione di alcuni valori – dall’immigrazione alla sicurezza, alla giustizia fai da te – che ogni giorno diventa più feroce”.

Come di diventa alternativa “vera”?

“Il Pd non può essere autosufficiente, e non è esclusivo della rappresentanza della buona Italia. Ci sono tanti altri mondi che rappresentano la buona Italia. Noi abbiamo il dovere di costruire alleanze, di ritrovarci socialmente dentro lo stesso campo. Il Partito Democratico deve allearsi nella società, con i corpi intermedi. E non deve considerare i sindacati e le associazioni il male del Paese, ma una parte che meglio di altre tutela e valorizza ogni giorno il processo di democrazia. Un partito nasce per fare politica, non per avere una narrazione da diffondere come verbo assoluto ai propri elettori”.

Ri-nascete in funzione anti-Salvini. Non è rischioso?

“Quando Zingaretti dice che siamo alternativi a Salvini, non intende solo alla Lega, intende a tutta la destra che sta per essere egemonizzata da Salvini. Anche quella fuori dalla Lega. Noi vogliamo dimostrare a non ha votato il Pd, punendolo, e che comunque ha mantenuto un ancoraggio a valori democratici ed a una tradizione liberale e progressista, che il voto dello scorso anno ha consegnato l’Italia alla peggiore destra, a cui i Cinque Stelle hanno spalancato un’autostrada. L’alternativa siamo noi”.

Il tema del momento, alla Regione, riguarda i vitalizi degli ex parlamentari. Ha criticato Musumeci per non aver impugnato la legge nazionale che prevede la loro riduzione. Da che parte sta?

“So che in questa fase nazional-popolare va di moda andare addosso a chi percepisce le pensioni. E che questa moda viene interpretata come un momento di purificazione del Paese. Ma io non cambio idea. Considero quella ipotesi insopportabile dal punto di vista delle regole costituzionali, perché saremmo in presenza di norme che avrebbero efficacia in maniera retroattiva. Non è mai successo. E’ come se oggi scrivessimo in una legge in cui si dice che è possibile multare chi vent’anni fa ha messo la macchina in doppia fila. Ripeto: è un’idea insopportabile”.

Quindi è d’accordo con Miccichè?

“Non con Micciché, ma con un principio: non può esserci nell’attività legislativa, una concezione punitiva e rancorosa del passato. Puoi cancellare tutte le norme che vuoi, purché riguardi ciò che succede da oggi in poi. Non facendo riferimento a ciò che è avvenuto prima”.