Undici anni fa l’assessore all’Economia del governo Lombardo, ch’era stato consulente personale dell’imprenditore Ezio Bigotti, cioè Gaetano Armao, sospese i pagamenti nei confronti della Spi, la società regionale partecipata al 25% dallo stesso Bigotti, che aveva sottoscritto un accordo con la Regione per censire il patrimonio immobiliare dell’ente. Quella decisione creò le condizioni per un lodo arbitrale, che determinò un ulteriore esborso da 12 milioni a favore dei privati. A quella sentenza palazzo d’Orleans decise di contro-appellarsi con una riconvenzionale, che al termine di una battaglia legale che dura dal 2014, ha portato a una pronuncia della Corte d’Appello di Roma.

La sentenza, firmata dal giudice Giuseppe Lo Sinno, è stata salutata con soddisfazione dallo stesso Armao, che guarda caso riveste il medesimo ruolo di allora: “E’ una vittoria importante che conferma la correttezza della condotta amministrativa”, ha detto al Giornale di Sicilia. A che si riferisce l’assessore al Bilancio? Al fatto che la Corte abbia obbligato Psp Scarl – ossia la società consortile controllata dall’avventuriero Bigotti – a risarcire la Regione con 7 milioni e 404 mila euro, più gli interessi. In più, viene meno la pretesa dell’azienda di ricevere un ultimo pagamento – troncato all’epoca – pari a 20 milioni circa. Il risultato di questa farsa siciliana, che è costata alle casse regionali 110 milioni complessivi, è un risparmio di 28 milioni. Un quinto dell’esborso complessivo.

L’esultanza postuma di Armao, però, non cancella affatto i tratti di una storia grottesca, iniziata nel 2006 quando il governo Cuffaro, nell’ambito di un’ampia operazione che aveva portato alla svendita di 33 immobili regionali, decise di affidare alla Spi il censimento dell’intero patrimonio. Doveva costare 13 milioni circa, ma le fatture intestate al Bigotti, la cui società era partecipata dalla lussemburghese Lady Mary II, raggiunsero inopinatamente gli 80. Senza che il lavoro venisse eseguito a regola d’arte. Per lungo tempo s’è parlato, infatti, di censimento “fantasma”: né i presidenti, né gli assessori, né la Corte dei Conti, tanto meno i siciliani, hanno mai saputo quanti fossero gli immobili a disposizione della Regione, dove fossero dislocati e tanto meno ne conoscevano il valore.

Finché, nel 2019, il Movimento 5 Stelle incalzò Armao – convocato dalla commissione Antimafia all’Ars – chiedendo di svelare il contenuto di quella mappatura misteriosa. A quel punto inizia un’altra farsa: non si trova la password dei vecchi server della Spi, che potrebbero contenere tutte le risposte. Dopo un lungo scambio epistolare coi vertici della società (finita nel frattempo in liquidazione), il codice magicamente ricompare: ma il contenuto del database è ormai inservibile, obsoleto, andato. Il censimento va rifatto e aggiornato in base alle nuove rendite catastali. Alla Regione resta il cerino in mano, finché una mattina la Corte d’Appello di Roma scioglie gli ultimi nodi su quella operazione malsana. Si arriva, in pratica, a una transazione: facciamo 8 milioni e non se ne parla più. Armao, dopo aver determinato lui stesso il contenzioso, passa all’incasso. Nel frattempo, i cento milioni mancanti – pagati per un lavoro inutile – sono finiti in qualche paradiso fiscale, senza che nessuno, nemmeno le procure, sia riuscito a intercettarli. Che gran bella vittoria…