Dopo la morte di Sebastiano Tusa e 14 mesi di interim, affidati al presidente della Regione Nello Musumeci, il nuovo corso dei beni culturali, in Sicilia, risponde a un nome e ad un simbolo. Il nome è quello di Alberto Samonà, discendente di una famiglia di intellettuali, giornalista e scrittore molto avvezzo alle cose d’arte e di politica; il simbolo è quello della Lega, che in queste settimane ha fatto indignare molti, almeno in termini di manifestazioni social. “Il pregiudizio è a monte di Alberto Samonà, bensì nei confronti dell’assessore leghista, chiunque fosse stato. La Lega, ormai da molti anni, è un movimento nazionale, con rappresentanti al Sud e nelle Isole. Pensi che in Sardegna c’è persino un governatore di espressione leghista, eletto grazie a un accordo col partito d’azione sardo – ricorda Samonà -. Anche in Sicilia abbiamo tutte le carte in regola per parlare d’identità”.

Questo è un messaggio che all’esterno molti non colgono.

“La Lega ha una forte tradizione autonomista. Attorno ai temi della difesa della cultura, dell’identità dei popoli e delle tradizioni è riuscita a sviluppare la propria azione politica. Il pregiudizio, invece, parte dalla Lega Nord, dalla Lega lombarda o quella veneta. Esperienze che, grazie alla loro tenacia, hanno contribuito allo sviluppo innegabile di quelle regioni, ma che oggi si sono esaurite. Inoltre, alle ultime Europee il Carroccio in Sicilia ha preso il 22% ed eletto due parlamentari”.

Su Facebook , i gruppi contro la nomina di un leghista di Beni culturali hanno fatto registrare quasi 150 mila adesioni. Come se lo spiega?

“Io incontro molta gente che mi dice di andare avanti, che stiamo lavorando bene. La Lega può essere una valida alternativa alla politica dei decenni scorsi. D’altronde, al di là delle mobilitazioni social, io ho visto piazza del Parlamento lo scorso 2 giugno, a Palermo: c’erano non più di 250-300 persone. Credo fossero soprattutto esponenti delle sardine e dei centri sociali. E’ interessante che una certa area di sinistra radicale cerchi di cavalcare le tesi dell’indipendentismo siciliano, quando esse stesse hanno ben poco a che fare con l’esperienza della sinistra siciliana. E’ una contraddizione in termini”.

Quindi non si è mai risentito per le critiche e le polemiche?

“Non sono amareggiato perché la critica ci sta. Quello che non ci sta è l’insulto. Quando ti dicono “sporco leghista, vai a casa”, mi dispiace per loro. Detto questo, il mondo della sinistra ha sempre dato patenti di cultura e di presentabilità e posto veti. Lo so bene perché provengo da una famiglia che ha una forte componente di sinistra. Ma avere radici di destra, come le mie, non significa – per una equazione semplicistica – essere rozzo e ignorante. In una certa sinistra, che è sempre più isolata e minoritaria, c’è il pregiudizio per cui la cultura debba essere solo di sinistra o post-marxista”.

In molti si sono chiesti che cos’è questa identità siciliana. Il gruppo dei Popolari e Autonomisti, all’Ars, ha proposto un disegno di legge per restituire la delega al presidente della Regione.

“L’identità siciliana è la sintesi di una identità plurale, di quei poli e di quelle espressioni che l’hanno attraversata, lasciando testimonianze uniche al mondo. L’identità siciliana passa per la Sicilia greca, la Sicilia romana, la Sicilia bizantina, per l’itinerario arabo-normanno, per il barocco del sud-est, per le testimonianze del liberty. Ma anche per tutti quei movimenti che oltre 70 anni fa hanno portato all’approvazione dello statuto siciliano, e che non hanno più trovato nella politica un testimone attento. L’identità siciliana passa dal sangue versato da tutti coloro che hanno combattuto la mafia. Siamo la terra ad aver pagato il tributo più alto in questa lotta. Ecco: l’identità siciliana è una dimensione esistenziale, che non può essere etichettata. Ma è la più grande delle eredità immateriali che ci è stata trasmessa. E’ qualcosa di molteplice, che ci rende unici”.

I luoghi della cultura hanno aperto gratuitamente per nove giorni e i numeri sono positivi: 40 mila accessi. 

“Mi ha fatto molto piacere. Quando ho pensato a questa iniziativa, era un modo per dire grazie ai siciliani che responsabilmente si sono chiusi in casa per due mesi a mezzo a causa dell’emergenza Coronavirus. Era un modo, da parte del nuovo assessore e del governo, di testimoniare con un gesto la propria gratitudine verso chi si è attenuto alle disposizioni e ha fatto in modo che la Sicilia arrivasse a livelli di contagio molto contenuti. La risposta è stata bella ed entusiasmante e dà la misura di una comunità che si vuole riappropriare dei luoghi della cultura, della propria storia, delle vestigia di quei popoli che l’hanno attraversata. Che vuole tornare a vivere”.

Come pensa di declinare la cultura in questa sua esperienza politica al governo della Regione?

“I beni culturali rappresentano il biglietto da visita della nostra terra. La mia impronta vuole essere di totale dedizione alla valorizzazione, alla tutela e alla promozione dei beni culturali, a partire dal sistema dei parchi archeologici, dei principi fondamentali che stanno alla base dei beni culturali, compreso il tema del paesaggio. Col mio gruppo, stiamo già lavorando un paio di progetti interessanti. Il primo si chiamerà “Ierofanie”: declinato sotto molteplici linguaggi (arte, teatro e varie forme culturali), sarà il manifesto della mia azione politica. “Ierofanie” è una manifestazione del sacro: cos’altro è la Sicilia se non una gigantesca manifestazione del sacro in tutte le sue espressioni?”.

Il secondo?

“Riguarda il contemporaneo siciliano nell’ambito artistico. In Sicilia vi sono esperienze artistiche importantissime, come il Museo Riso di Palermo, Antonio Presti e la Fiumara d’Arte, la fondazione Orestiadi di Gibellina, il gruppo di Scicli, di cui non si parla mai abbastanza. Bisogna mettere tutto a sistema e pensare al futuro grazie a un progetto che guarda all’Europa e al mondo partendo da un ombelico sacro che è la Sicilia. Inoltre, quando ho dichiarato che voglio fare gli Stati generali dei Beni culturali, significa che intendo coinvolgere e far esprimere chi vive nel mondo della cultura, a partire da coloro che sono chiamati a custodire la bellezza, il paesaggio, i templi. Fino ai cosiddetti “operai”, che grazie alla cultura sfamano le proprie famiglie: penso agli scrittori, gli editori indipendenti, e tutti coloro che sono rimasti in Sicilia per vivere realmente di cultura”.

Come siete riusciti a coniugare l’esigenza di riaprire i luoghi della cultura con le restrizioni sanitarie tuttora vigenti?

“Abbiamo fatto in modo che tutto potesse andare per il verso giusto. Uno dei miei primi atti, da assessore, è stato confrontarmi con i sindacati dei lavoratori affinché i protocolli prevedessero la necessaria dotazione di dispositivi sanitari, la limitazione numerica dei visitatori e tutte le prescrizioni che era necessario adottare per riaprire in sicurezza. Un’azienda ci ha donato un’app per le prenotazioni online, che ha permesso ai visitatori di accedere a parchi e musei senza creare code ai tornelli e agli ingressi. Tutto ciò è stato possibile perché abbiamo remato nella stessa direzione”.

Serve una riforma dei beni culturali? Il governo, con lei in testa, ha già bocciato l’iniziativa parlamentare portata avanti in quinta commissione. Perché?

“Una riforma dei beni culturali serve. Ma ho detto in commissione che il governo non è interessato a emendare un disegno di legge incerottato, che appare superato sotto molti aspetti. Il titolo VI, quello relativo alle soprintendenze, è già in sede di abrogazione. Le soprintendenze meritano più rispetto perché sono i custodi del paesaggio. Inserire un titolo che ne mortificasse il ruolo per me è molto grave. Ma quel Ddl, in generale, non tiene conto della riforma posta in essere con il completamento dei parchi archeologici siciliani, e nemmeno delle linee generali definite dal decreto n.42/2004, il codice Urbani. Anche il nuovo assetto del dipartimento dei Beni culturali, rimodulato nel 2019, lo rende obsoleto. E’ monco sotto molti aspetti, tant’è che sono stati presentati 500 emendamenti. Lo dico con il massimo rispetto per il parlamento, la commissione e gli estensori del disegno di legge, di cui va apprezzato lo sforzo”.

Adesso che succede?

“Attraverso il dipartimento ai Beni culturali, verrà predisposto un Ddl di iniziativa governativa che possa ascoltare le esigenze rappresentate in queste settimane da vari settori, compresi gli intellettuali e gli storici dell’arte, per arrivare a un testo quanto più completo possibile che non stravolga la materia dei beni culturali e la inserisca in un più ampio quadro di valorizzazione. Si deve andare oltre, non indietro. Io e il presidente della Regione, su questo tema, siamo allineati”.

Ha la pretesa di proseguire il lavoro dei suoi predecessori? Sgarbi e Tusa, per motivi diversi, sono state due presenze simboliche in quell’assessorato.

“Il professor Tusa era uno studioso e un tecnico, mentre io – come ha ribadito il presidente Musumeci – sono un assessore politico. Mai potrei eguagliare la sua opera, ma mai mi sognerei di stravolgerla. E’ questa la sfida. Con Sgarbi c’è un bel rapporto dialettico, ci siamo visti la scorsa settimana a Roma, e abbiamo pensato a iniziative future. Sono stato a Noto per la riapertura della sua mostra, c’è un rapporto personale e di collaborazione. L’importante è fare il possibile perché il tema dei beni culturali venga mantenuto in testa alla classifica delle priorità della Regione siciliana e non finisca in coda. Su questo mi batterò con tutti, maggioranza e opposizione. Per me è un tema trasversale”.

Qualche giorno fa ha incontrato Salvini a Roma, che adesso la cita anche nei suoi post su Facebook. Cosa le ha detto?

“Matteo verrà a Palermo nei prossimi giorni. Nel frattempo, mi ha detto di spingere sul tema dei beni culturali e della sburocratizzazione. Quest’ultima non passa per la mortificazione delle soprintendenze o per atti di protagonismo personale, bensì dall’ascolto dei singoli cittadini. La Regione non deve più apparire come una macchina farraginosa, ma come un grande ente in grado di risolvere problemi. E infine mi ha ribadito un concetto: che la Lega ha tutte le carte in regola per affrontare i temi dell’identità e della cultura. Mi ha ricordato un episodio di un anno e mezzo fa…”.

Era già leghista.

“Esatto. E a palazzo delle Aquile organizzai un convegno dal titolo “Il futuro della Sicilia si chiama identità”. C’era il senatore Iwobi – l’unico senatore di colore eletto, guarda caso, nella Lega – e tanti autorevoli esponenti delle comunità etniche siciliane e palermitane. Solo l’assessore alle Culture di Palermo (Adham Darawsha, ndr) rifiutò l’invito. Ci sedemmo tutti attorno a un tavolo per discutere di identità. Questa è la Sicilia migliore: quella di uomini e donne di buona volontà, che anziché protestare per partito preso, si battono per uno sviluppo possibile”.

Addirittura la Lega come contenitore delle differenze.

“Da uomo di destra dico che la Lega è l’oceano che oltrepassa gli schemi di destra e di sinistra. Un movimento di popolo, fatto di uomini e donne che provengono da un vissuto culturale e politico diverso, che si tuffano in questo oceano consapevoli di uscirne più ricchi. Un classico esempio è quello del senatore Bagnai, che proviene da un’esperienza comunista. Eppure quella esperienza lo ha portato a condividere nella Lega un progetto che riguarda gli interessi del popolo contro le oligarchie. La Lega rappresenta un pericolo perché può scardinare questi schemi. Non è un partito borghese, ma un grande spaccato dell’Italia. Per questo fa paura”.