La storia dei conti pubblici siciliani, ormai da qualche anno, è un mix di pasticci e (strenui) tentativi di ricucire. Ma sembra che la Regione, tuttora, non riesca a superare le numerose criticità ereditate dal precedente governo. Anzi: l’impugnativa della Legge di Stabilità da parte di Palazzo Chigi – per circa 800 milioni – ha contribuito a raffreddare i rapporti fra il presidente Schifani e quello che all’inizio della legislatura era considerato il suo pupillo: l’assessore all’Economia Marco Falcone. In attesa del famoso “tagliando” di giunta, però, i due dovranno affrontare insieme le pessime notizie provenienti da Roma, dove la Corte dei Conti a Sezioni riunite in composizione speciale, ha espresso l’ultimo verdetto sulla disgraziata stagione di Armao, impegnando l’ente a “rideterminare” il risultato d’amministrazione del 2019, per 127 milioni di euro.

E’ la coda del funesto giudizio di parifica legato al rendiconto 2019, che ha visto tutta una serie di puntate (con altrettante implicazioni). La Corte dei Conti, ai massimi livelli, ha confermato la tesi della Procura generale palermitana: cioè che la Regione, al tempo, “ha dato illegittima copertura ad una spesa ordinaria di ammortamento di un mutuo” col Mef; e che l’avrebbe fatto attingendo a un capitolo del Fondo sanitario, il quale doveva servire invece a garantire i Lea, cioè i Livelli essenziali di assistenza. La Regione si giustificò chiamando in causa l’articolo 6 della Legge regionale n.3/2016, dichiarato “illegittimo” da una successiva sentenza della Consulta. Ecco che arriviamo dritti ai nostri giorni: cioè alla decisione depositata il 9 giugno ’23, con cui i magistrati contabili fanno calare il sipario su un episodio di mala gestio che tuttavia non dovrebbe avere ripercussioni materiali: sapendo di andare incontro a una sentenza sfavorevole, la Regione aveva già accantonato 255 milioni, il doppio della cifra, alla vigilia dell’approvazione dell’ultima Finanziaria.

Ma in tutta questa vicenda rimane un buco di verità enorme. Riguarda l’ex assessore all’Economia, Gaetano Armao, che durante i cinque anni di governo Musumeci non ha mai dimostrato di avere in mano la situazione. E che, nonostante i blackout, lo scorso 28 aprile, via decreto, il presidente Renato Schifani ha nominato come esperto, avvalendosi della sua professionalità “segnatamente nelle relazioni e nelle questioni extraregionali”. Si tratta di un investimento esoso, giacché l’avvocato Armao percepirà 60 mila euro per un anno. E si tratta pure di un primo, palese tentativo di commissariamento dello stesso Falcone, la cui permanenza nell’esecutivo è sempre più a rischio (specie dopo la disputa sulla rimodulazione delle Camere di Commercio). A questo punto sarebbe logico chiedersi: quali sono i risultati ottenuti sul campo da Armao, e quali i meriti, per guadagnarsi un’attestazione di stima così alta e onerosa? Sarà forse la sua lunga militanza in Forza Italia, tradita alla vigilia delle Regionali, dopo che la coalizione di centrodestra negò il bis a Musumeci? O sarà, magari, merito del patto con Renzi e con Calenda, che lo portò ad avversare Schifani (timidamente: va detto) nell’ultima campagna elettorale?

Perché di fronte alla mancata certificazione di un merito – la Corte dei Conti non ha mai fatto nulla per evidenziarne – è strano che il presidente della Regione continui a puntare sul solito cavallo di razza. E diventa ancora più strano alla luce di due episodi: il primo riguarda gli intendimenti manifestati dal governatore all’indomani del giudizio di parifica della Corte dei Conti sul rendiconto 2020, quello terminato con un nulla di fatto, che apriva numerosi interrogativi sulla gestione Musumeci-Armao. Schifani e Falcone parlarono della necessità di un’operazione trasparenza: “Nessuna leggerezza verso la Corte dei Conti, che non è avversario della Regione – disse Falcone -. Sulla parifica faremo un focus: non vogliamo nascondere la polvere sotto il tappeto. Abbiamo sempre ribadito che questo Governo è in continuità con il precedente, ma questo non significa che se abbiamo sbattuto contro un muro, continueremo a farlo”. Discontinuità, quindi. Almeno nelle premesse.

Il secondo episodio è persino più recente. Di ieri. La Regione, infatti, ha chiesto l’abrogazione dell’articolo 7 del decreto legislativo 158 del 2019, in “materia di armonizzazione dei sistemi contabili, dei conti giudiziali e dei controlli”. Si tratta di una norma, frutto di un accordo fra il Conte-2 e il governo Musumeci, che aveva permesso alla Sicilia di spalmare il disavanzo storico in dieci anni, in cambio di un’attenta opera di riqualificazione della spesa. Palazzo d’Orleans, fino alla stipula dell’accordo vero e proprio, del 14 gennaio 2021, non ha accantonato le somme richieste, tanto da indurre la Corte dei Conti, in sede di parifica dell’ultimo rendiconto, a sollevare una questione di legittimità costituzionale. E Schifani a ottenere da Roma un nuovo “salvagente” per evitare di doverci rimettere 800 e passa milioni.

Le rate saranno recuperate più avanti, e tutti amici come prima: ma anche questo ravvedimento è un segno di scarsa riconoscenza per l’operato di Armao, che era in prima linea coi ministri, viceministri e sottosegretari dell’epoca (tra cui lo stimatissimo grillino Alessio Villarosa) per ottenere le migliori condizioni possibili da quell’accordo (e ottenne in cambio solo “cure da cavallo”). Ecco che la domanda si ripropone: venendo meno la stima per l’operato di quel governo, ed è palese che sia così, a che serve richiamare Armao in servizio? Finendo per delegittimare il messaggio di discontinuità che – almeno sui conti pubblici – il nuovo governo aveva già ratificato?

Così facendo, la politica economica di Armao & Co. rimane in vita, sebbene attaccata a un respiratore artificiale. E l’unico che avrebbe il diritto, e forse anche il dovere, di praticare l’eutanasia, preferisce non farlo. Forse perché la presenza dell’ex assessore tuttofare è imprescindibile. O magari, perché la nuova stagione del centrodestra è addirittura peggio della precedente e Schifani non ha modelli positivi da esportare. O forse c’è qualcos’altro che noi umani difficilmente potremo comprendere.