Entrano come un bisturi nel cuore del problema, anzi dei tanti problemi sollevati dalle manganellate a Pisa contro gli studenti, queste parole di Sergio Mattarella che svegliano dal sonno prefettizio il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi richiamandolo, assieme al governo, alle sue responsabilità. E non ci sarebbe stato bisogno, in un paese normale, del capo dello Stato per constatare che a Pisa qualcosa non ha funzionato e che sarebbe necessario spiegare il che cosa. Perché la ferita, sottolineata dall’onda emotiva che ha riempito piazza dei Cavalieri e scosso il paese, è aperta: studenti accerchiati e pestati, neanche fossero degli eversori, nell’ambito di una manifestazione con non più di cento persone pacifiche e a viso scoperto.

Entrano come un bisturi nel cuore del problema, anzi dei tanti problemi sollevati dalle manganellate a Pisa contro gli studenti, queste parole di Sergio Mattarella che svegliano dal sonno prefettizio il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi richiamandolo, assieme al governo, alle sue responsabilità. E non ci sarebbe stato bisogno, in un paese normale, del capo dello Stato per constatare che a Pisa qualcosa non ha funzionato e che sarebbe necessario spiegare il che cosa. Perché la ferita, sottolineata dall’onda emotiva che ha riempito piazza dei Cavalieri e scosso il paese, è aperta: studenti accerchiati e pestati, neanche fossero degli eversori, nell’ambito di una manifestazione con non più di cento persone pacifiche e a viso scoperto.

E non ci voleva Mattarella neanche per sottolineare che un siffatto comportamento “mina l’autorevolezza delle forze dell’ordine”, elemento che alla politica dovrebbe stare a cuore, essendo cruciale in una democrazia, a maggior ragione in una fase segnata da tensioni di varia natura come quella attuale. Il coro delle tribù del centrodestra, dei vari Donzelli e Lollobrigida, impegnato a giustificare “a prescindere”, il silenzio senza scuse del titolare del Viminale, che dopo 24 ore non ha sentito l’esigenza di fornire l’esito di una “verifica” sull’accaduto, fatta trapelare a caldo, quello della premier Giorgia Meloni con la scusa di Kiev e il retropensiero delle elezioni sarde. Meglio tacere, non sia mai che si sposta qualche voto. È il quadro di una fragilità delle classi dirigenti (in questo caso del governo) che non si assumono una responsabilità, rappresentata icasticamente dal destinatario della telefonata, Piantedosi, ennesimo prefetto chiamato a gestire un ministero politico par excellence come se la sicurezza fosse una questione burocratico-amministrativa e non una questione politica che ha a che fare col funzionamento stesso della democrazia. Continua su Huffington Post