Prima un suv pirata, con un 37enne ubriaco alla guida, che investe due cuginetti e li uccide. Poi il funerale, angosciante e contraddittorio, organizzato dal socio di un capomafia, il cui figlio stava all’interno della macchina assassina. Infine, come se non bastasse, un commissariato di polizia sequestrato, perché ospite di un edificio detenuto al 50% da una famiglia di imprenditori vicini a un clan. Negli ultimi giorni Vittoria non s’è fatta mancare nulla.

Difficile fare ordine dove regna il caos. Dove il figlio di un malacarne – per usare un’espressione di Paolo Borrometi, giornalista sotto scorta – si concede il lusso di sfrecciare a 160 chilometri orari per i vicoli della città e ammazzare due bambini, di 11 e 12 anni, sull’uscio di casa. Oggi, per la prima volta da un po’ di tempo a questa parte, lo Stato torna a Vittoria. In cui si genera mafia e morte. Il vice-premier Luigi Di Maio ha annunciato la sua presenza ai funerali del piccolo Simone, a cui l’amputazione delle gambe non è bastata per salvarsi. Se n’è andato in un bagno di sofferenza, sua e della famiglia, mentre domenica mattina, in chiesa, si celebravano i funerali del cuginetto Alessio, ucciso giovedì scorso dalla furia impazzita del figlio del malacarne (l’arresto è stato convalidato dal giudice).

Il 37enne Saro Greco, al volante di un Suv, aveva un tasso alcolemico di quattro volte superiore al consentito e si era fatto di cocaina. Un manganello e alcune mazze nel portabagagli. Prima di far danni, era passato a prelevare altri noti esponenti della criminalità locale, fra cui Angelo Ventura, detto “u checcu”, figlio di Titta Ventura, considerato il reggente di un clan vittoriese. Un noto capomafia. Anche se i consuoceri, in un video a Repubblica, dicono di non vedere mafia a Vittoria dagli anni ’90, che questa “è tutta pubblicità”. Poveri illusi o emeriti bugiardi?

Più probabile la seconda, dato che il 27 luglio di un anno fa, il Comune fu sciolto per mafia – la decisione è stata confermata oggi dal Tar del Lazio – su proposta del Ministro dell’Interno. Che spazzò via una giunta di centrodestra dopo 60 anni di dominio comunista e sei mesi d’indagine da parte di una commissione prefettizia, coordinata dal vice-prefetto vicario di Ragusa, Concetta Caruso, che si era insediata all’indomani dell’ennesimo scandalo. L’operazione “Exit Poll” metteva in croce i politici di ieri e di oggi. E ruotava attorno a diverse questioni tuttora irrisolte: la gestione del mercato ortofrutticolo (tra i più grandi d’Europa), gli appalti dei rifiuti, gli incarichi dirigenziali e l’assegnazione di “voucher” alle famiglie bisognose. E’ in questi rivoli che si manifestano le contiguità tra esponenti politici e il mondo della malavita, diffusissima.

Nell’estate del 2017 furono arrestati l’ex sindaco del Pd Giuseppe Nicosia – l’accusa fu poi derubricata da voto di scambio politico-mafioso a corruzione elettorale – e il fratello Fabio, consigliere comunale. Ma anche il neoeletto sindaco Giovanni Moscato, Fratelli d’Italia, fu indagato per la proroga del servizio di raccolta dei rifiuti alla Tekra, una società in odor di interdittiva antimafia: “Ero lì da due mesi, non potevo lasciare la città in mezzo alla spazzatura”. Moscato ha scelto il giudizio abbreviato e l’esito del processo sarà noto entro settembre.

Il comune di Vittoria – la relazione della commissione prefettizia è un devastante indicatore del suo stato di salute – “presenta forme d’ingerenza da parte della criminalità organizzata che compromettono la libera determinazione e l’imparzialità dell’amministrazione”. “Diversi membri della compagine di governo e dell’apparato burocratico del comune – si legge – annoverano frequentazioni ovvero rapporti di parentela o di affinità con persone controindicate o con elementi delle famiglie malavitose territorialmente egemoni”. “E’ emerso – continua la relazione – che alcuni esponenti della consorteria mafiosa della ‘Stidda’ (…) sembrerebbero aver avuto la possibilità di influenzare scelte di governo con particolare attenzione alle numerose e consistenti omissioni nell’attività di gestione del mercato ortofrutticolo, governato dall’amministrazione comunale, all’interno del quale è stata dimostrata una consistente presenza delle consorterie mafiose nel settore dell’indotto commerciale delle forniture di imballaggi, dei trasporti e dello smaltimento dei rifiuti”.

“Saranno le aule dei tribunali a stabilire se lo scioglimento sia stato un provvedimento giusto o sbagliato – dice Valentina Frasca, giornalista del posto che scrive per il sito Ialmo.it – Vittoria non è una città come tante, non lo è mai stata. Ma da allora è implosa. Non è mai stata pulita, perfetta, educata ed efficiente, ma non è mai stata nemmeno così abbandonata a se stessa. La triade prefettizia fa quel che può, ma non è abbastanza. Una macchina amministrativa che altrove può essere giudicata sufficiente, a Vittoria è appena mediocre. E’ una città dove la povertà dilaga e va a riempire le tasche del malaffare. E’ sporca Vittoria, e passeggiando per il centro puoi anche imbatterti in chi dovrebbe stare al fresco di una cella. E non va bene. Lo Stato latita, e la maggior parte dei cittadini, onesta e tenace, lo avverte e se ne rammarica. Come si trova il coraggio di denunciare e reagire se nessuno riesce a garantire la tutela minima e indispensabile?”.

Di Stato ce n’è un po’ meno per l’azzeramento degli organi democraticamente eletti. Ma anche perché “le Forze dell’Ordine – ha spiegato Borrometi in un post su Facebook – non riescono a controllare il territorio (non per colpa propria ma per mancanza di personale)”. Così “si rischia di consegnare le città in mano a delinquenti e mafiosi. Ci vuole forte la presenza dello Stato, con uomini, con mezzi (se necessario anche con l’esercito) e con la cultura.  Se così non sarà è tutto finito”. Un grido disperato che nessuno raccoglie. Lo stesso Borrometi, che negli anni ha raccontato gli scandali, ha fatto nomi e cognomi e si è conquistato inimicizie in ogni angolo di questa città maledetta, è stato più volte minacciato di morte. Ad esempio dal padre di Angelo Ventura, fresco di esperienza a bordo del suv folle, che in tempi non sospetti gli disse “ti scipperemo la testa anche dentro il commissariato di polizia”. E per questo si trova in carcere.

Un quadro desolante, in cui persino i benintenzionati faticano a districarsi. “Sono strani, i vittoriesi – commenta la Frasca -. Da un lato, e direi anche giustamente, hanno paura. Non tanto per se stessi, quanto per le persone che amano e che sentono il bisogno disperato di proteggere, perché lo sanno come si può morire o finir male. Si adagiano, si lamentano, ma hanno un cuore grande e se possono ti danno anche quello che non hanno. Hanno manie di protagonismo e si fanno notare, sia nel bene che nel male. Genio e sregolatezza, cresciuti come molle pronte a scattare, e lo fanno anche quando non dovrebbero”. Spesso vince l’omertà nei comportamenti della gente – la classica scimmietta che non parla, non vede e non sente – ma il palcoscenico dei social ha offerto ai criminali, ai figli dei boss, ai membri della Stidda una imponente cassa di risonanza da cui muovere accuse e minacce, senza che nessuno intervenga. Anche all’ex sindaco Moscato ne è arrivata una all’indomani di una denuncia fatta in radio sui mafiosi della città: portava la firma di Francesco Battaglia, che sta scontando dieci anni per associazione mafiosa.

Nel microcosmo vittoriese si intrecciano tanti di quegli umori, e tanti di quei misfatti, che è difficile elencarli tutti. “Sono cresciuta sentendomi ripetere che se fossi stata buona e tranquilla e mi fossi tenuta lontana dai guai nessuno mi avrebbe disturbata – aggiunge nella sua testimonianza Valentina Frasca –. Non è così. Lo sanno bene Alessio e Simone e, prima di loro, lo hanno scoperto Turi Ottone e Rosario Salerno. Anche loro erano nel posto sbagliato al momento sbagliato”. Innocenti, caddero entrambi vent’anni fa, nella strage di San Basilio, durante una vendetta fra clan. Si stavano scambiando gli auguri – era il 2 gennaio del ’99 – quando furono crivellati di colpi.

Vittoria è il malaffare che serpeggia, lo scandalo che si rinnova, il malcostume che si rafforza. Sapete, ad esempio, che i funerali del piccolo Alessio, il primo dei cuginetti morti, sono stati affidati a un’agenzia di pompe funebri il cui titolare, Maurizio Cutello, era socio in affari con Angelo “u checcu”? Cioè il figlio del boss che si trovava, con Greco e altri due, all’interno dell’auto assassina? Vittoria è talmente impregnata di letame che i genitori non hanno potuto rivolgersi altrove, e adesso minacciano di andarsene via per sempre. C’è anche la trappola delle contraddizioni sul marciapiede di una città malata.

Come l’ultimo spunto di cronaca, che giunge direttamente dal commissariato di Polizia. L’edificio, che il Ministero dell’Interno affitta ogni anno per 105 mila euro, dal 2012 è per metà di Rocco Luca, il rampollo della famiglia Luca (finito recentemente in carcere con papà Salvatore e con lo zio). Quelli della Lucauto, la concessionaria delle auto di lusso, che secondo la Procura sarebbero ammanicati con la mafia e con il clan dei Rinzivillo. I proprietari sono accusati di riciclaggio e concorso esterno in associazione mafiosa. Gli sono stati sequestrati beni per 63 milioni di euro e, da un paio di giorni, anche il Commissariato di Polizia – evidentemente il Viminale ignorava di chi fosse – è stato sigillato. “L’importante – ha spiegato il questore di Ragusa, Salvatore La Rosa – è distinguere la proprietà del bene, con la nostra attività. Siamo due mondi lontanissimi”. Da mesi, infatti, cercava di dialogare con i commissari del comune (più burocrati che politici) per conquistarsi un nuovo spazio, scevro da qualunque ombra.

Vittoria è una città vorticosa che fatica a cambiare. In cui due mondi lontanissimi entrano fatalmente a contatto, in cui persino la parte buona rischia di infettarsi. C’è voluta la morte di due bambini per accendere i riflettori su uno scempio che prosegue da decenni. Quasi indisturbato. Che ha cavalcato i politici – e adesso li ha surclassati, cancellandoli – e mai si spegne. Malaffare, prepotenza, impunità. Sono questi gli ingredienti dell’inferno.