Ero piccola e al mercoledì c’era sempre il problema che se avevi finito il latte o il pane i negozi erano chiusi. Mia nonna si stizziva quando, quel pomeriggio, la signorina Maria chiudeva la sua bottega di generi alimentari a due passi dal portone della casa di famiglia e lei non poteva mandarmi per un pacco di pasta o per l’idrolitina del nonno.

Un pezzo di infanzia che è riemerso ieri pomeriggio, quando sono passata dal macellaio e l’ho trovato chiuso. Ero distratta, armeggiavo col telefonino, ho alzato gli occhi e ho visto la saracinesca abbassata. Ci ho messo qualche secondo a realizzare che era mercoledì, era chiuso perché era mercoledì. Un salto indietro di quarant’anni. Mi sono ritrovata catapultata nel passato, in altri ritmi e abitudini, in un altro modo di fare la spesa e forse, in generale, di affrontare il quotidiano.

È il piacere di entrare nel piccolo negozio, a conduzione familiare. Dove altrettanto familiari sono i visi, quelle persone che conoscono i nostri gusti e le nostre abitudini e le anticipano. Che ci mandano la spesa a casa se abbiamo la febbre, che segnano su un quadernetto se dobbiamo dare ancora qualche euro perché il garzone non aveva il resto. E poi lo cancellano quando tu passi a pagare. Quei piccoli esercizi in cui il commerciante si ritaglia ancora il mercoledì pomeriggio per la propria famiglia e in cui ritroviamo il contatto umano, lontani dalle code alla cassa del supermercato o dal caos del centro commerciale. Che saranno comodi ma “disumani”. Perché in queste “fabbriche della spesa”, sempre aperti quando ti servono, il salumiere di turno non saprà mai se preferisco il cotto o il crudo, se mi piace affettato sottile o meno o se preferisco la carne bianca e il pane integrale.
E allora viva le piccole botteghe e quei negozianti che il mercoledì abbassano ancora la saracinesca per il loro pomeriggio libero.