“Non si sconfigge il populismo con il trasformismo, che anzi lo alimenta”. E’ stato l’avvertimento più duro lanciato da Nicola Zingaretti, candidato alla segretaria nazionale del Pd, dal palco dell’Astori Palace, a Palermo, durante la visita di ieri. Chi si aspettava pugnalate e colpi proibiti è rimasto deluso. Nonostante al suo fianco fosse presente Teresa Piccione, che si è ritirata dalle primarie regionali dopo aver lamentato la violazione di alcune regole e l’intromissione di altri partiti, Zingaretti – da ottimo stratega e persona intelligente – ha evitato di fomentare gli animi. E ha chiesto a Faraone, neo segretario del partito in Sicilia, di fare lo stesso: “Le primarie sono state un’occasione fallita. Ora spero che ci si fermi e si rivedano certe posizioni – ha detto il governatore del Lazio – Abbiamo due mesi di grande mobilitazione popolare. Vogliamo costruire il nuovo Pd e lo costruiremo anche in Sicilia, aprendoci all’ascolto di chi ha bisogno e di chi è arrabbiato”. In platea, ad ascoltarlo, chi ha fatto la guerra a Faraone e ora, probabilmente, potrebbe virare sulla linea della cautela. Anche perché il senatore, braccio destro di Renzi e incursore nel nuovo campo dei moderati (che si spinge fino a Forza Italia) sembra anch’egli orientato all’ascolto. E persino a qualche concessione.