C’è l’antimafia, come quella di Claudio Fava, che non ne può più dei riti e delle cerimonie, delle commemorazioni e del pianto finto, delle parate pettorute e dei bambinetti sulla nave della legalità. E c’è l’antimafia – diciamolo – che consola e ristora, che aiuta a far carriera, che serve a scrivere libri e a girare per l’Italia, che ti spalanca le porte della televisione e delle cittadinanze onorarie, che ti consente di entrare, non si sa come né perché, nel piazzale degli eroi. C’è l’antimafia del dolore e dell’impegno civile. E c’è l’antimafia chiodata dei manganellatori, di quelli che ti bastonano solo se ti azzardi a sollevare un dubbio su una indagine o su un processo senza capo né coda, inventato non per cercare giustizia e verità ma per portare il prode magistrato che l’ha istruito nella casta bramina degli intoccabili. Povera antimafia, poveri noi.