Elmetto nero, tuta rossa e ali nere, la performer di origine croata Xena Zupanic, per la prima volta mette in scena a Palermo la ‘guerrilla art’, una vera e propria mostra vivente nell’ambito dell’iniziativa ‘Palermo delle donne’, la rassegna curata da Stefania Morici, con un fitto calendario di eventi da ieri al 9 giugno, inaugurata nel pomeriggio di sabato a Palazzo dei Normanni dal presidente dell’Ars, Gianfranco Miccichè, e dalla Fondazione Federico II, diretta da Patrizia Monterosso.

La ‘guerrilla’ si è mossa dai giardini reali di Palazzo dei Normanni, attraversando corso Vittorio Emanuele e fino a piazza della Vergogna tra lo stupore e la curiosità di passanti e turisti: con Zupanic, che con un megafono recita un monologo, 20 ragazze “sandwich” con indosso pannelli fotografici con immagini di donne nude, realizzate da Olimpia Soheve, alcune delle quali incappucciate dall’artista Max Papeski. Artista, performer e autrice teatrale ma anche artista a tutto tondo: Zupanic ha recitato con grandi registi tra cui Salvatores, Risi e Ferreri; musa di Helmut Newton che l’ha immortalata nei suoi famosi scatti. “Nella società odierna il corpo ha perso la sua sacralità e ogni singolo individuo diventa una ‘differenza senza identità’.

In un mondo dove regna un capitalismo tecno-nichilista e la convinzione che tutto è comprabile e vendibile, si è portati a considerare la donna come un ‘oggetto debole’, manipolabile – dice Xena Zupanic – La liberazione della donna diventa così una guerriglia quotidiana, indispensabile”. Nelle fotografie di Olimpia Soheve non c’è solo il racconto personale e tanto meno l’analisi dell’artista, c’è intera la storia di una generazione di donne “segnate” e coraggiose, giunte stremate al traguardo del benessere ma che vogliono – e possono – ancora sorridere.

“Spogliarsi fa paura, specialmente quando la materia stessa di cui si è fatti è oggetto di repressione e giudizio. Le donne di queste foto hanno deciso di mostrarsi esattamente come sono, e usano il loro corpo come arma di rivolta, come strumento di protesta. Rivendicano il loro diritto di esistere. Queste foto vogliono essere oneste, brutali e delicate allo stesso tempo”, dice la fotografa.