Alessandro De Angelis per HuffPost

La destra è già ammaccata.
La sinistra è già sfasciata

Mai si era visto, sulla presidenza del Senato, che una maggioranza si spaccasse in modo così traumatico. Addirittura con una sua componente che, come primo atto della legislatura, non partecipa al voto: non una scheda bianca, ma un Aventino sul Senato. E i franchi tiratori dell’opposizione – una ventina, un decimo del Senato - che la salvano regalando un imprevedibile successo a Giorgia Meloni. A maggior ragione in un’elezione ad alto valore politico e simbolico, carica di significati storici e culturali. Diciamolo: game over, da oggi l’evocazione, variamente declinata, del fascismo perde qualunque ancoraggio con la realtà e diventa inservibile, perché soffocata nelle miserie di un inspiegabile tatticismo parlamentare. Continua sull'Huffington Post

O Giorgia spariglia o subito
le chiederanno una cabina di regia

Il paradosso è che, alla vigilia dell’insediamento delle Camere, è più avanti il lavoro sul governo che sui presidenti dei due rami del Parlamento. È il risultato di uno schema per cui si è scelto di aprire una estenuante trattativa, facendo dipendere l’esito della scadenza più ravvicinata da quella più lontana, ed esponendo così al mercanteggiamento anche le cariche istituzionali. Quanti ministeri vale palazzo Madama? E quanti Montecitorio? Salvini, prima di mollare il Senato, vuole capire cosa incassa sul governo perché la rinuncia alla seconda carica dello Stato e al Viminale, dal suo punto di vista, non possono essere a costo zero. E dunque fa sapere che “si sta lavorando per Calderoli”. Berlusconi, cui non fanno difetto le capacità commerciali, ha prezzato a “due ministeri” la rinuncia alle presidenze. E,..

La strategia Pd: cambiare nulla
per essere sicuri che nulla cambi

È il dettaglio che rivela il tutto, inteso come rimozione e finzione, quel "non è stato una catastrofe" pronunciato da Enrico Letta e assunto come base di discussione da tutti (o quasi). Perché all’ombra della "grande rimozione" va in scena il rito, per dirla col poeta, del "tutti coinvolti, tutti assolti", alla fine del quale alla domanda sul "perché si è perso" la risposta resta evasa, in un festival di solenni citazioni: chi il Vangelo, chi lo Spirito Santo, chi San Paolo, ed è davvero un peccato che Marx sia morto e chi lo ha letto non si senta tanto bene. Continua sull'Huffington Post

Lo stillicidio sul Viminale.
Così Salvini incastra la Meloni

Come in un gioco dell’oca, si torna sempre alla casella di partenza, il Viminale, a nove giorni dall’insediamento delle Camere e a ben quattordici dall’inizio delle consultazioni. Richiesto, per l’ennesima volta, da Salvini che, per tenere alta la trattativa, ha schierato a sostegno il suo Consiglio federale. E forse questo stillicidio quotidiano su nomi e caselle, destinato a trovare una forma solo a ridosso delle prime scadenze istituzionali, già rivela un difetto di impostazione. Tanto valeva prendersi qualche giorno di pausa per smaltire le fatiche elettorali e l’euforia da post voto. L’idea di rinunciare ai festeggiamenti per la vittoria, al fine di trasmettere l’immagine di una classe dirigente operosa rispetto alle esigenze del paese, si sta già rovesciando nell’opposto: un gioco tattico, che non è ancora una compiuta trattativa, ma..

Ma quanto piacciono
a Meloni i poteri forti

La postura atlantista di Giorgia Meloni non è una novità, sin dai tempi del primo invio delle armi in Ucraina. Però nel suo primo comunicato, da premier in pectore, dopo il tweet a Volodimir Zelensky, è difficile non leggervi una voluta accentuazione di questa postura. Quasi un ostentato sfoggio atlantista (e filo-americano). L’“imperialismo di stampo sovietico”, la “violenta occupazione” che “minaccia la sicurezza dell’intero continente europeo”: un’enfasi che evoca George W. Bush quando gli nominavi Bin Laden, o Ronald Reagan contro l’“impero del male”. Continua sull'Huffington Post

Letta-Meloni, duetto senza pathos
Sembrano Sandra e Raimondo

Vabbè, la buona notizia è che, almeno per ora, non c’è più l’allarme democratico, il fascismo che avanza, e nemmeno il rischio che venga cacciato Mattarella. A rallegrare la campagna più noiosa di sempre – succede così, quando la campagna elettorale dura tutto l’anno, quando arriva quella vera, c’è l’effetto deja vu – è tornata la sit com “Sandra e Vianello”, già vista ad Atreju, alla Luiss, in svariate occasioni. Pericolo sventato, che poi Sandra sia più simpatica di Raimondo è un rischio accettabile, ma a lei fa gioco perché lo schema bipolare la sdogana, lui cerca una polarizzazione da voto utile. L’ultima puntata, in onda su Corriere tv, racconta, più che di un duello tra Enrico Letta e Giorgia Meloni, di un duetto civile (in fondo, meglio così), senza..

La politica suicida si libera di Draghi dopo averlo pregato

Se l’arrivo di Mario Draghi a palazzo Chigi è stato l’effetto del collasso del sistema politico, nel pieno dell’emergenza pandemica, la sua caduta (di questo si tratta) è l’effetto del suicidio dei collassati. Contro il sentimento popolare, manifestatosi in questi giorni, con la pressante richiesta, salita dal paese (senza retorica: imprese e lavoratori, sindaci ed eroi del Covid, poveri e ricchi) di non aprire una crisi al buio. Si possono provare a ricostruire, a mente fredda, i passaggi tattici che hanno indispettito il centrodestra, dall’incontro a Palazzo Chigi di Letta ai momenti del discorso del premier su catasto, scostamento di bilancio e balneari. Degno corollario di una sindrome da Papeete che, come una malattia infettiva, Salvini è riuscito a trasmettere a Berlusconi, forse perché a villa Grande erano tutti senza..

Ma ora Mario Draghi si sta complicando la vita da solo

Al netto dello spin – a palazzo Chigi parlano di “attesa”, al Quirinale di “incontro interlocutorio”, al Nazareno di “spiragli” – buoni per tenere alta la suspence (la rappresentazione è parte del gioco), la sensazione è che la riflessione di Mario Draghi sia sul “come” più che sul “se”. Logica dice che, alla vigilia dell’Aula, se sali al Colle (dopo aver rassegnato le dimissioni, poi respinte) o vai a dire che, dopo attenta ricognizione, non ci sono le condizioni nemmeno per andare in Parlamento o stai cercando il modo per andare avanti. Magari chiedendo qualche prezioso consiglio a una figura esperta come Mattarella. Insomma, ha capito che non può sottarsi alla grande chiamata nazionale e internazionale. Il problema è la scarsa dimestichezza con la politica da parte del premier e..

Draghi, il Paese è più grande di Conte: non puoi disertare

In un’intervista a Milano Finanza, Franco Bernabè, espressione intelligente e navigata della classe dirigente nazionale (oggi si usa dire establishment) spiega, con grande efficacia, come l’uscita di scena di Draghi farebbe felice Putin, anzi ipotizza che anche questa crisi, come avvenuto in passato su altre vicende, possa avere a che fare con l’attività di influenza dell’intelligence russa. E poi ci sono le catastrofiche reazioni sui mercati, e poi gli investitori, e poi il rischio della paralisi. E poi le accuse a certi partiti. Però, a fronte di questo scenario, Bernabè, che di Draghi è un estimatore e a palazzo Chigi è molto stimato (l’articolo è stato apprezzato e segnalato da qualche collaboratore del premier), non lo invita calorosamente a rimanere in nome di un bene del Paese più grande delle..

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