Orlando, di essere cornuto, viene a saperlo proprio da Rinaldo che manco lo immaginava che quello – il suo capo paladino, cugino e compagno suo di tante scampagnate – avesse nel cuore e nelle carni la bella Angelica.

Rinaldo se l’era portata a letto Angelica a tempo perso. E glielo rivela a Orlando – adesso – per una vanteria tra maschi: “Me la sono fatta”.

Orlando, di ritrovarsi cornuto, neppure lo immaginava. E preso come da una botta di sangue, sprofonda nel dolore e però se ne sta zitto, anzi, sorride. Se ne ritorna al suo castello all’imbrunire e non ci dorme per sette giorni interi e sette notti fino a quando – sopraggiunge l’ottava alba – afferra il proprio smartphone e vi digita la sentenza di addio a lei. Le scrive un messaggio su whatsapp di una sola parola una: “Bottana!”.

Lei non se ne accorge di quell’insulto, anzi, manco ci pensa più a Orlando. E quella parola una che è solo una si perde chissà dove.

Lui se ne muore perché da subito non ha risposta, neppure nel corso della giornata la riceve, e così nei giorni appresso, e ancora dopo e scrutando per mesi, e tanti giorni ancora il display sempre muto, Orlando l’immagina – la spietata Angelica – attonita, sbugiardata e però, ahilui, la sente indifferente, sprezzante e vieppiù sdegnosa.

Lei, comunque, sapendolo lontano, tra le sabbie d’Africa o chissà dove, se lo scorda proprio il prode Orlando.

Presa per come è presa, Angelica, si profonde di smanie con Rinaldo Chiaramonte di Monte Albano il quale a lei si dedica solo un’anticchia. Se la porta in macchina per quel tanto che basta per insozzarla poi nei conciliaboli con gli altri paladini, appagare così il raglio del suo io – “La prendo con la mia Fusberta di sopra, di sotto, e in ogni modo e in ogni maniera” – e illuderla, infine, di farla onesta agli occhi di tutto il Reame di Re Carlo.

Orlando da lontano dove si trova non dorme, non mangia e butta col sudore della sua disperazione, anche il fiele, come fosse bava.

Orlando Chiaramonte, però – ancora prima – l’aveva capita quel qualcosa tra i due, l’aveva perfino interrogata, anche a lungo, cavandone giuramenti e proclami di mai e poi mai, e cosa vai a pensare mai: “Lui mi fa una corte spietata, questo sì”, a un certo punto confessa Angelica dal balcone, “ma io niente”.

Se ne muore, Orlando, quando dopo la rivelazione avuta da Rinaldo, suo cugino da lontano dove ormai si trova, e chissà dove, interroga un mago che gli mostra nella sfera la trafila degli amanti di Angelica: ecco Ferraù, ecco Sacripante ed ecco Ruggero. E poi ancora, Medoro che, ferito, lei se lo cura e poi se lo smanazza.

Se ne muore, Orlando, perde il senno ma intanto c’è Rinaldo che non può sapere dell’afflizione di suo cugino lo raggiunge ad Agramonte. Non lo immagina di averlo fatto cornuto, se solo lo sapesse se ne farebbe vanto. e Orlando, addolorato, ripassa a mente tutti i cavalieri cui Rinaldo ha consumato le donne e tutta questa giostra di vergogna, mettersi nella sequela di tutti quei becchi – pur senza più senno – lo convince della decisione più sensata: restarsene zitto.

Se ne muore, Orlando, e non parla. Sorride anzi, si congeda da Rinaldo e si gode la villeggiatura quando nel vuoto di un pomeriggio, sbucciando carote, gli arriva un messaggio della bella Angelica – “Come stai?” – e alla pazzia aggiunge finalmente una rabbiosa felicità.

Immediatamente le scrive “mi ha raccontato tutto lui, se n’è fatto vanto, buon per te” e lei, giusto contrappasso, se ne crolla.

Angelica lo chiama immediatamente al telefono, Orlando non risponde, anzi, stacca il cellulare e tutti i messaggi di whatsapp di lei restano senza doppia graffetta.

Il prode paladino intanto lascia Agramonte e corre – dopo sosta ad Acquisgrana – a Lutetia, nella capitale dove Re Carlo raduna tutti i più valorosi guerrieri, Orlando sa di trovare tra loro il cugino Rinaldo. Ancora per un poco l’addolorato paladino nasconde il suo proposito, vendicare tutto il dolore del proprio cuore. Ancora per poco ostenta un complice sorriso allorquando Rinaldo indugia nel di sopra e di sotto, e nel modo e nelle maniere ma dopo poco, scorgendo il suo sogghigno – temendo di essere già proclamato tra i becchi, Angelica di certo ha già informato Rinaldo – non ce la fa più.

Solleva in alto, Orlando, la sua temuta Durlindana e chiama il cugino ai margini del bosco di Neuilly, lungo la Senna, sfidandolo a singolar tenzone.

Carlo Magno, a bocca aperta, assiste alla piazzata e così mormora: “Pensa quanto può una femmina; due paladini, due amici veri – le due colonne del mio Regno – per causanza della bella Angelica, sono diventati due nemici fieri!”.

“Questo racconto è vera storia, scritta sopra dei fatti naturali da un cappuccino che campava all’epoca e vide uno di tutto, tali e quali.”

Ecco Fusberta e Durlindana in guardia, eccoli in campo – uno contro l’altro – che cercano di sbranarsi, peggio che lupi.

Ognuno si parte in atto di minaccia: s’inquartano alla svelta, fanno girare le armi come un vortice e lesti fanno calare i loro fendenti.

Orlando alza vieppiù la propria spada in aria e inferte un colpo così tremendo che se Rinaldo non avesse fatto un salto, sarebbe stato perduto irremissibilmente: “Eccomi quane”, gli urla appunto Orlando, “ti voglio far provare il mio terribeli brando e la forza di codeste mane”.

Rinaldo però si prende la rivincita: “Osservati allo specchio, gran ridicolo, guarda il tuo nasone storto; ha ragione, la leggiadra Angelica, di non sentire per te alcun trasporto… aspetta, aspetta che con un colpo della mia Fusberta ti accorcio questa tua probosciti”.

P.s.

Succede l’urto, le due spade s’incrociano/saltano i loro elmi ben presto rotti/e cadono storditi ambo all’unisono/per sette giorni intere e sette notti!

Variazioni su Orlando, Rinaldo e la bella Angelica, omaggio a Nino Martoglio