Adesso saprà davvero tutto, Pino Caruso, l’attore palermitano di teatro, tv e cinema scomparso ieri a Roma a 84 anni. In uno dei tanti calembour di cui era prolifico autore aveva scritto infatti: «Cosa pensa l’uomo in punto di morte? Tra poco saprò tutto».

Se si dovesse cogliere il merito più grande dei sessant’anni d’arte di Caruso, è l’essersi smarcato da un certo stereotipo della comicità sulla realtà siciliana, legato fino agli inizi degli anni Sessanta ad un folclorismo macchiettistico, dalla mafia al sottosviluppo, dal concetto d’onore ai tic, ai tanti personaggi tipici della sua terra, uno stereotipo su cui campavano il teatro leggero, la radio, la televisione. Fu questa sua diversità, questo traghettare la comicità tout court in umorismo, in sarcasmo agrodolce, in satira politica e sociale anche sferzante («dovrei accendere: scusi, Ciancimìno?»), a sollecitare l’attenzione del cabaret romano nei confronti di questo attore arrivato da Palermo nella prima metà degli anni Sessanta, dopo aver fatto la gavetta nel repertorio, dai classici a Pirandello, in quel Piccolo Teatro che fu il primo esempio di istituzione pubblica di prosa nel capoluogo dell’Isola negli anni Cinquanta.

Caruso “sale” dunque a Roma e trova nel Bagaglino il suo palcoscenico naturale e in Castellacci e Pingitore i suoi primi sodali. «Venga a prendere il caffè da noi, Ucciardone cella trentasei, ci saranno un po’ di amici miei, sul paglione che le fa da canapé…» canta alludendo al caffè “corretto” di Pisciotta, alla maniera di un Petrolini, con un distacco scettico alla “Gastone”, ed è la cifra nuova per parlare della Sicilia e dei suoi mali, per irridere la mafia ancora lontana dall’incarnarsi nella Cosa Nostra delle stragi ma altrettanto pericolosa, insinuante, intrudente. La televisione pochi anni dopo lo consacra alla popolarità: nei varietà della domenica pomeriggio che lanciano dai cabaret sparsi per mezza Italia Villaggio, Cochi e Renato, Jannacci, Andreasi, Toffolo, Montesano, il portabandiera della Sicilia è lui, Pino Caruso.

Assurto a personaggio televisivo, arriveranno poi nuovi impegni, importanti varietà del sabato sera, da Dove sta Zazà con Lionello, Gabriella Ferri e Montesano a Due come noi con Ornella Vanoni, a Palcoscenico con Milva diretto da Castellacci e Pingitore, Falqui, Guardì, gli anni ’70 e ’80 saranno ricchi anche di cinema con qualche bel cameo (il Don Cirillo di Malizia di Samperi o il commissario De Palma de La donna della domenica di Comencini).

Gli anni Novanta lo vedono tornare a Palermo in una veste inedita, quella di organizzatore teatrale. Il sindaco Leoluca Orlando e l’allora assessore alla Cultura Francesco Giambrone gli affidano la realizzazione di due edizioni del Festino di Santa Rosalia che trasforma in sontuosa occasione teatrale ma soprattutto Palermo di scena, festival estivo che apre le ville cittadine alla prosa, alla musica, al cinema. E’ un inatteso exploit: cartelloni zeppi di nomi anche internazionali, code interminabili ai botteghini, migliaia di spettatori ogni sera. Ma incomprensioni, fraintendimenti, polemiche vogliono che quell’esperienza duri tre anni, Caruso va via sbattendo la porta.

Negli ultimi tempi qualche ritorno sui set televisivi delle fiction, la sua amata attività di scrittore con la pubblicazione di diversi libri di racconti e aforismi e l’ultimo impegno teatrale a Palermo, nel 2015, come in un cerchio che si chiude, con il Pirandello di Non si sa come di cui è protagonista e regista per lo Stabile cittadino. Il palcoscenico, d’altronde, non lo aveva mai dimenticato: «Il teatro – per citare Pino Caruso – è una forma di felicità interrotta dall’esistenza».