Ho letto una serie di interventi sulla situazione al Giornale di Sicilia. Messaggi di incoraggiamento ai giornalisti, appelli accorati alle istituzioni, ricette per superare la crisi. Volevo dire qualcosa di sensato anch’io, visto che conosco bene la realtà di cui si parla tanto (a volte anche a vanvera), ma l’unica cosa che mi viene in mente è questa: il Giornale di Sicilia non va salvato. Se veramente avete a cuore le sorti di uno dei più antichi quotidiani d’Italia, peraltro nel suo centosessantesimo anniversario, in questo momento dovreste solo staccare la spina e lasciarlo morire. Perché l’alternativa, per come stanno le cose oggi, è un accanimento terapeutico che si limiterebbe a spingere in avanti di qualche mese un destino già segnato. Con l’agonia e la sofferenza che ne consegue, soprattutto per i lavoratori.

Non si può pensare di salvare un’azienda con pannicelli caldi o con contributi a fondo perduto come si è fatto un anno sì e l’altro pure con Alitalia. È solo un modo per rinviare il problema.

Bisogna avere invece il coraggio e la lucidità di analizzare i bilanci e provare a capire cosa dicono i freddi numeri. Capire perché le voci sotto il segno meno sono ogni anno sempre più robuste nonostante gli interventi (pochi) dell’azienda e i sacrifici (tanti, enormi) sostenuti da tutti i comparti produttivi. Bisognerebbe chiedersi se chi è deputato a decidere sulle sorti di una realtà tanto complessa sia veramente in grado di affrontare la tempesta. Del resto tutti possono comandare una nave in un mare calmo e pescoso, ma è quando arriva la burrasca che si capisce il valore di chi sta al timone.

In via Lincoln oggi sono rimaste solo macerie. C’è un management che ha smantellato tutti i comparti a colpi di solidarietà e cassa integrazione. C’è una direzione (e anche una dirigenza) che ha avallato scelte scellerate pensando di essere al riparo solo perché al vertice di una piramide che però si sta sgretolando alla base ed è pronta a crollare da un momento all’altro. E c’è una redazione stanca e sfilacciata che ormai da troppo tempo assiste inerme al continuo impoverimento della testata, sperando semplicemente di avvicinarsi il più possibile alla pensione o a un’alternativa.
Se siamo arrivati a questa situazione non è solo a causa del mercato cinico e barbaro, ma anche e soprattutto di scelte sbagliate. Come quella – l’ultima di una lunghissima serie – di sopprimere da un giorno all’altro centralino e portineria, il contatto diretto con la gente, con i lettori, con le notizie che a volte ti trovano anche se non vai a cercarle.

Salvare il Giornale di Sicilia, oggi, significa avallare un modello di gestione che fa della macelleria sociale l’unico strumento per affrontare le crisi.

Quindi, se veramente avete a cuore le sorti di via Lincoln, dovreste chiedere di completare l’opera avviata dagli editori: annientare tutto, spazzare via le macerie e ricominciare da zero. Con una nuova proprietà, un nuovo management, una nuova direzione e con quei (pochi, forse tanti, di sicuro comunque un numero consistente) giornalisti che ancora credono a questa nobile professione e che amano veramente il Giornale di Sicilia.

Qualsiasi altro intervento servirà solo a spostare in avanti di qualche mese le pagine del calendario e la pubblicazione di un necrologio che è già scritto da tempo.