Confcommercio Sicilia, martedì scorso, ha scritto una nota al presidente della Regione, Nello Musumeci, per “porre in essere tutte le soluzioni” utili a “scongiurare un tracollo insostenibile”. Che, tradotto in numeri, significa per la Sicilia “un ulteriore miliardo di perdite che si aggiunge ai 5 miliardi e 500 milioni di calo dei consumi e del Pil” già previsti alla vigilia delle ultime disposizioni. Un dramma di proporzioni ineguagliabili. La tenuta dell’economia è a rischio, ma per indagare i motivi di preoccupazione di Patrizia Di Dio, la presidente della sezione palermitana di Confcommercio, diventata da pochi giorni vicepresidente nazionale, bisogna partire da lontano. “E’ in atto una precisa strategia del terrore. Una pressione mediatica senza precedenti, che ha lo scopo di atterrire l’opinione pubblica”, spiega.

In cosa lo nota?

“C’è un continuo martellamento sullo stato d’emergenza, di fronte al quale reclamo una par condicio dell’informazione. Si è instaurato un clima di paura, e la paura genera sottomissione. L’obbligatorietà del contraddittorio serve anche ad allenare l’esercizio della logica”.

A cosa è dovuto questo impazzimento, secondo lei?

“Non possiamo più definirci una democrazia parlamentare. Perché il parlamento, negli ultimi provvedimenti, non esiste nemmeno. Questo secondo lockdown, o “lockdown camuffato”, come lo chiamo io, sembra privo di qualsiasi strategia. La prima volta ci siamo fidati e abbiamo assolto al nostro dovere. Adesso non basta. Prima che ci uccidano, che uccidano le imprese siciliane, vogliamo l’evidenza statistica che dimostri perché queste nuove misure debbano funzionare”.

In cosa sbaglia il governo nazionale?

“Noi vogliamo, parimenti, che gli interessi di chi governa debbano contemperare tre gambe, in cui nessuna è più importante dell’altra: mi riferisco all’emergenza sanitaria, a quella economica e a quella sociale. Ci devono dimostrare che le ultime decisioni sono frutto della logica e dell’osservazione. Se anche il presidente dell’Istituto superiore della Sanità sostiene che non serve un altro lockdown, non mi spiego il motivo di tanto rigore. Al di là del mio ruolo, che è tutelare le imprese, viene prima la responsabilità di cittadina. Che ha il compito di aprire gli occhi e lanciare dei messaggi”.

Cosa rischia l’economia siciliana?

“Quando a lei si rompe un tubo del bagno, sceglie di devastare l’intera casa? Non avrebbe senso. Ecco: abbiamo sconfinato l’ambito dell’emergenza, qui siamo a un passo dalla morte. Quello che si sta distruggendo, non si potrà più riparare”.

Nella vostra lettera a Musumeci, vi rivolgete anche all’assessore Razza. Cosa c’entra la sanità in questa disamina?

“Già, sembra una follia che a parlarne sia Confcommercio. Se non funziona un sistema, però, non bisogna ammazzare anche l’altro. Stavamo facendo una fatica disumana per risollevarci. Mi spiego: in questi mesi c’è stata una cattiva gestione sanitaria, ma non possiamo pagarne le spese soltanto noi. Chi governa non può occuparsi solo della prevenzione, ma anche delle conseguenze delle proprie azioni. E non ci fidiamo degli indennizzi di Stato: non esiste ristoro per il danno che ci stanno procurando. Parliamo di miliardi di euro e dell’11% di Pil qui in Sicilia”.

Ci spiega, in maniera pratica, cosa accade con la chiusura di bar e ristoranti alle 18?

“Il primo effetto è instaurare un clima di sfiducia nel futuro. Il secondo è che non offri una via d’uscita. In questo modo, oltre a danneggiare le attività, terrorizzi anche i consumatori. Uccidi il desiderio, annulli la voglia di socialità, e questo vuol dire relegare alcuni in fondo al tunnel della disperazione, altri in quello della negatività più assoluta. E’ una questione che va oltre l’aspetto economico”.

Cosa avete chiesto a Musumeci?

“Di alleggerire le misure previste per la Sicilia. Vede, in Alto Adige o in Trentino, alle 18, anche per motivi climatici, sono già chiusi in casa. Noi, a quell’ora, cominciamo a vivere. Sa che il numero massimo di ingressi in un negozio è proprio alle 18? E’ il momento in cui stacchiamo dal lavoro e ci dedichiamo ad altro: il tempo libero, lo shopping, un incontro con gli amici. Quando togli l’happy hour e la cena, hai decurtato due terzi di un’attività. Inoltre, la gente che non può uscire di casa per farsi un caffè, non passerà più di fronte a un negozio, smetterà di acquistare un libro o un paio di scarpe. Questa situazione genera immobilismo”.

Quindi chiedete di tornare alle precedenti restrizioni? Vi andrebbe bene una chiusura alle 23?

“Era già stata una cosa dolorosissima. Ma potremmo rimodulare le nostre abitudini, anticipare la cena di un’ora, e continuare a socializzare in pizzeria o al ristorante adottando tutte le precauzioni del caso, come si è fatto in questi mesi. Fermarsi alle 23, inoltre, significa fermare il mondo dell’intrattenimento notturno, che si è dimostrato il più irresponsabile e fuori controllo. I contagi non avvengono nei nostri bar o nei nostri negozi. Alle 23 andrebbe bene”.

Palermo è già una città a rischio desertificazione. Guardi cosa accade alle attività di via Roma. Cosa rischia in questa fase?

“Senza incassare un euro, non so come si possa andare avanti. Qualcuno resisterà un po’ di più, altri un po’ meno, ma il destino è segnato. Nei mesi scorsi abbiamo avuto un calo del 30%. E poi – non lo dico soltanto io, ma anche le forze dell’ordine – dietro l’angolo si annida la criminalità organizzata. Mentre sui commercianti si abbatte la scure da parte dello Stato, che non riesce a fornire alcun indennizzo, dall’altro si materializza la mano di chi ti risolve i piccoli problemi quotidiani. E spesso ha il volto dello strozzino di turno. Se qualcuno non potrà sbancare il lunario, o i dipendenti passeranno dalla cassa integrazione a essere disoccupati, cosa possiamo aspettarci se non la svendita alla criminalità organizzata? Rischiano anche le aziende più strutturate. Però mi faccia fare un appello…”.

Prego.

“Nei momenti più difficili, gli italiani danno il meglio. Beh, i siciliani di più. Lo dico senza retorica, perché siamo abituati a convivere con l’emergenza. Pertanto, faccio appello a una responsabile normalità. Acquistiamo in maniera consapevole. Ogni euro speso nelle imprese e nei prodotti locali, in quello che ci appartiene, è un euro che torna in tasca ad ognuno di noi. Che potrebbe aiutarci a recuperare una serenità perduta. Oggi c’è un incremento delle vendite online, ma io invito tutti ad andare nei negozi fisici, di vicinato, dove possiamo mantenere anche un livello di comunità. Dobbiamo coltivare una dimensione locale e promuoverla. Da solo non si salva nessuno, come diceva il Papa. Grazie a questi piccoli esempi, senza regalare niente, potremo riappropriarci della dignità che stanno provando a toglierci. Non servono eroi, ma semplici gesti quotidiani”.