L’ultimo carrozzone della Prima Repubblica, per dirla con Musumeci, ma anche il primo ente che accompagnò la riforma agraria che si apprestava a cambiare volto alla Sicilia – correva l’anno 1950 – ha le ore contate. Le dimissioni di Nicola Caldarone da presidente dell’Esa, dopo aver approvato dieci bilanci in sette mesi, suona come una pietra tombale sul futuro dell’Ente di Sviluppo Agricolo che, a quanto pare, è superato dai tempi e non serve più. Il governo, alla vigilia della Finanziaria, non aveva fatto mistero di volerlo abolire, ma all’epoca trovò il parere contrario del Parlamento, così la norma venne stralciata. Adesso, come spiega l’assessore regionale all’Agricoltura, Edy Bandiera, la fine è vicina: “L’intendimento del governo è chiaro – spiega Bandiera – Vogliamo procedere a un assorbimento dell’Esa nel dipartimento Agricoltura. Le attività e le competenze andranno attualizzate, perché l’agricoltura in questo lasso di tempo è cambiata. Tutte le sue funzioni vanno riviste”.

Le dimissioni di Caldarone erano un atto propedeutico al raggiungimento di un obiettivo che non avete mai tenuto nascosto?

“Le nomine iniziali del governo servivano a esercitare lo strumento dello spoil system, per mettere tutti gli enti e le partecipate nelle medesime condizioni, per poi assegnare le governance o, come nel caso dell’Esa, riformarli”.

Cosa succede con i 700 lavoratori e con un patrimonio immobiliare definito “inestimabile”?

“C’è da parte del governo l’intenzione di attuare un riordino tenendo conto dei lavoratori. Il patrimonio, dato che verranno meno le funzioni dell’ente, verrà trasferito. Tutto nell’ottica della razionalizzazione”.

Riguardo alla misura 6.1 del Piano di Sviluppo rurale, quella che riguarda l’insediamento dei giovani in agricoltura, c’è davvero il rischio di perdere una fetta di finanziamenti se non si procederà a un’altra graduatoria?

“No, non esiste alcun rischio. Anzi, se avessimo più soldi a disposizione sapremmo come spenderli. La 6.1 è una misura complessa: con i 40 milioni a disposizioni insedieremo mille giovani, rispetto ai 4 mila che hanno presentato richiesta”.

In generale, riuscite a spendere in modo puntuale i fondi del PSR messi a disposizione dall’Unione Europea?

“Già nel mese di giugno, come spesa già erogata e certificata, abbiamo raggiunto l’obiettivo che ci è stato assegnato dall’Europa per il 2018. Anzi, abbiamo speso 40 milioni in più di quanto ci era richiesto”.

Fra i bandi, ce n’è uno che riguarda la possibilità di aprire nuovi agriturismi. E’ un invito “alternativo” ai giovani a investire in agricoltura?

“Non abbiamo mai fatto mistero di voler declinare l’agricoltura in chiave moderna. Qui non si parla più della mera produzione di materie prime, che non lasciava nulla all’agricoltore né in termini di valore aggiunto né di ricchezza. Bisogna, invece, accompagnare dei temi innovativi alla straordinaria qualità della materia: in primis il turismo rurale e la trasformazione alimentare. L’industria, quella pulita, può conferire valore aggiunto. Faccio sempre l’esempio delle arance: sull’albero possono valere 10 centesimi, se le spremi e le metti in un tetrapak il valore di mercato sale a 2,50 euro. Venticinque volte più del valore iniziale”.

Sono i tempi che cambiano…

“Quando decliniamo la nostra agricoltura in chiave moderna penso a un’agricoltura legata al territorio e in grado di far funzionare i cinque sensi, non solo il gusto. Attraverso un’altra misura del Piano di Sviluppo rurale, la 4.2, abbiamo dato grande impulso all’agroalimentare con 142 milioni di euro. Oltre 90 aziende beneficiano di questo importante sostegno finanziario”.

Il comparto del vino fattura 1 miliardo l’anno, l’ortofrutta 800 milioni. Abbiamo dei prodotti di prestigio e non li sfruttiamo fino in fondo?

“In realtà, anche in fatto di export, sul tema dell’agroalimentare la Sicilia si sta rivelando più brava delle altre regioni del Mezzogiorno d’Italia. L’agroalimentare è un pilastro del modello di sviluppo che perseguiamo, nonostante ereditiamo una crisi strutturale pluridecennale. Questi sono numeri importanti che ci inducono a supportare questi comparti in modo ulteriore”.

Mesi fa avete rafforzato i controlli nei porti e nei mercati all’ingrosso per impedire l’accesso di merce contraffatta o poco salubre da altri paesi. E’ una misura che funziona?

“Da quando ci siamo insediati, abbiamo effettuato oltre 300 controlli. Nei porti, negli aeroporti, nei mercati all’ingrosso, nei supermercati e in ogni dove. Da un lato abbiamo trovato conferma in ciò che pensavamo, cioè che per anni la Sicilia è stata oggetto di un attentato alla salute dei consumatori e all’economia degli imprenditori. Dall’altro, questa mole importante di controlli sta fungendo da deterrente. Molte navi hanno “ballato” per parecchio tempo nello Jonio, cercando di capire qual era il momento migliore per entrare ed evitare i controlli. Ma non ci sono riuscite”.

Di recente Lei e il presidente Musumeci vi siete confrontati con gli allevatori: come si rilancia il settore della zootecnia?

“C’è già stata una svolta innovativa. Rispetto a un tempo, quando era l’ex Aras – ormai fallita – a occuparsi dei controlli funzionali e della tenuta dei registri genealogici degli animali, oggi lo facciamo noi, assieme al nostro istituto zootecnico, alle tre università siciliane e all’associazione italiana allevatori. Noi siamo protagonisti nel promuovere il controllo e nello stabilire la qualità dei capi d’allevamento, attraverso la loro “tracciabilità” genetica. Governiamo lo sviluppo della filiera zootecnica, è un fatto epocale”.

Ha visto il Documento di Economia e Finanza del governo centrale? Non crede che, anziché predisporre misure di assistenzialismo sfrenato (vedasi reddito di cittadinanza) si dovrebbe operare con sgravi alle imprese che investono sul territorio?

“Sì, sono d’accordo. Ma il Def è un documento che segue anche le indicazioni dei vari dipartimenti regionali, fra cui il nostro. E devo dire che per la prima volta, al suo interno, c’è una pagina e mezza dedicata alla zootecnia. E io lo trovo molto pertinente e adeguato al modello di agricoltura che vogliamo portare avanti. Si parla delle politiche di valorizzazione delle produzioni, della creazione di valore aggiunto. E’ un documento coerente con quelle che sono le politiche che stiamo sviluppando al governo della Regione”.

Passando alla politica. Com’è il clima in Forza Italia? Si sta procedendo alla conta in vista delle Europee?

“Il clima è positivo. C’è un gruppo parlamentare coeso, che lavora bene, sotto la regia del capogruppo e del coordinatore regionale. Certo, l’appuntamento delle Europee si avvicina e anche Forza Italia, come gli altri partiti, sta elaborando una corretta strategia per massimizzare i risultati”.

Unire le forza con Diventerà Bellissima e Fratelli d’Italia, ora o in futuro, per contrastare il boom leghista è un’ipotesi plausibile?

“Al momento è un problema che non si pone. Forza Italia negli ultimi due anni ha dimostrato di essere un partito forte, con performance regionali al di sopra della media nazionale. E’ un partito forte con una guida salda. Dalla lista che verrà presentata per le Europee ci aspettiamo un risultato in linea con quanto dimostrato dal partito durante la gestione Micciché”.