L’autocandidatura di Claudio Fava alla presidenza della Regione ha aperto una utile finestra sulla scadenza, ancora lontana, della attuale legislatura.

Manca un anno e mezzo alle prossime elezioni e tuttavia è opportuno che si cominci a ragionarne. Del resto, all’interno dei partiti che sorreggono la giunta Musumeci, da tempo è iniziato un confronto, anche molto duro, sulla scelta del candidato alla presidenza e di conseguenza sulla leadership dell’alleanza. Fin dall’inizio, dall’autunno del 2018, le tensioni nel governo e tra le forze che lo sostengono hanno accompagnato una azione politica e amministrativa faticosa e priva di una precisa direzione, che ha tentato di fronteggiare una realtà drammatica, resa ancora più insostenibile dalla pandemia, con strumenti di ordinaria amministrazione.

In Assemblea, malgrado la consistenza numerica della maggioranza, consolidata, peraltro, dai renziani e dai fuorusciti del Movimento Cinque Stelle, Musumeci non ha mai potuto contare sul sostegno pieno alle sue proposte di legge. Insieme a questo, i problemi, le incertezze, la mancanza di una visione chiara non hanno consentito all’attività politica ed amministrativa di raggiungere una qualità al livello dei problemi dell’Isola. Nelle settimane passate, il procedimento per l’approvazione della finanziaria ha esasperato le difficoltà, ha reso più evidente l’eterogeneità della maggioranza, l’assenza di un progetto comune, la scarsa capacità del governo di predisporre uno strumento di bilancio che orientasse le scarse risorse nella direzione delle questioni essenziali dell’isola, dal sostegno ai ceti fortemente penalizzati dalla pandemia, allo sviluppo.

Le polemiche sulla conduzione della politica sanitaria per il contenimento del Covid hanno acuito il contrasto tra maggioranza e opposizione ma anche tra Miccichè e Musumeci, alimentando ricorrenti scontri, frutto non solo e non tanto di contrasti di potere, di asprezze caratteriali, ma anche della distanza tra posizioni politiche molto diverse, tra quelle di una destra estrema e di una visione che cerca con difficoltà di non perdere il contatto con quella parte dell’elettorato e delle sensibilità moderate presenti nella società isolana e rappresentate in Assemblea con qualche difficoltà dalle forze centriste.

Una delle linee di frattura attraversa Forza Italia, dividendo quelli che accettano un ruolo subalterno alla Lega e a Fratelli d’Italia da coloro che tentano ancora di preservare un territorio proprio, di salvaguardare i riferimenti e i valori del Partito popolare europeo, di sottrarsi all’abbraccio soffocante di Salvini. Il problema dell’appiattimento sulla destra con un ruolo satellitare si pone anche per le forze centriste e per il gruppo di Renzi, che in prospettiva potrebbero esercitare un ruolo proprio, magari prendendo atto che in Sicilia si sta proiettando un film diverso da quello che scorre sullo schermo nazionale.

Lì la Lega perde colpi, paga il costo della incapacità di trasformare il dissenso e la rabbia in proposta politica, manifesta la fatica di conciliare il sostegno al governo Draghi, la formale adesione all’Europa, la rappresentazione degli interessi dell’economia del Nord con il mantenimento di posizioni barricadere e con l’alleanza con le forze più retrive del continente; lì, in una parola, la Lega perde colpi, in Sicilia acquisisce consensi.

Qui incrocia il tradizionale trasformismo, la consueta disponibilità di vecchi gruppi dominanti ad offrirsi in una sorta di comodato d’uso al servizio dei poteri predominanti nel Paese, di fatto quelli più ostili ad una politica in favore del Mezzogiorno, confermando che i responsabili degli storici problemi dell’Isola vanno cercati proprio qui, tra gli eredi di coloro che, per una rivendita di sale e tabacchi o per una croce di cavaliere, come spregiativamente disse Giolitti, riferendosi all’ascarismo dei deputati meridionali, erano e sono pronti a saltare da un ramo all’altro, sempre in soccorso del vincitore.

L’ultimo della fila, fulminato dai valori del leghismo, è stato un senatore grillino, tale Francesco Mollame, eletto, apprendo ora, a Palermo e che con la sua scelta ha trovato l’occasione di una citazione mai avuta in precedenza.

Esponenti del vecchio mondo politico, come da tradizione, salgono sul carro del presunto vincitore, pronti naturalmente a scendere quando si dovesse incrinare l’asse delle ruote.

Lo scenario possibile, in vista delle prossime elezioni regionali dell’autunno del 2022, può essere la tenuta di questa maggioranza e la prosecuzione del suo percorso ad ostacoli, reso ancora più difficile, com’è normale, quanto più ci si avvicina alla fine della legislatura. In questo caso la destra, con il sostegno del centro, elettoralmente importante ma poco influente sul piano politico, troverà un proprio candidato alla presidenza della Regione e vincerà le elezioni.

L’altro scenario può prevedere la formazione di una alleanza che metta insieme Forza Italia, i centristi, il Partito Democratico e il Movimento Cinque Stelle, quello, almeno, che si presume possa uscire dalla cura di Conte.

Per realizzarsi, questa ipotesi dev’essere fin da ora coltivata dall’attuale opposizione, dal Partito Democratico in particolare e costruita su un progetto coraggioso di riforma e di rifondazione dell’Autonomia, alla costruzione del quale chiamare le forze della cultura, i rappresentanti delle istituzioni locali, dell’impresa, del mondo del lavoro, del volontariato, individuando gruppi dirigenti nuovi, scartando di conseguenza gli accrocchi formati da ciò che residua di vecchie storie politiche, mettendo da parte pretese identitarie.

Solo così in Sicilia potrà emergere un consistente spazio di centro, che, a pochi mesi dalla scadenza elettorale nazionale, sarebbe una utile indicazione per i vertici romani.

L’autocandidatura di Fava, con quel tanto di supponenza che lo contraddistingue – io ci metto la mia storia e la mia cultura, due presupposti certo importanti, gli altri non possono far mancare i voti – con la indicazione di un’ipotesi vasta e articolata di alleanze tra la sinistra, il Movimento Cinque Stelle e i centristi, ha aperto un utile dibattito. Le risposte di Barbagallo e di Cancelleri in particolare, su questo specifico aspetto sono state di apprezzamento e di condivisione.

I prossimi mesi ci diranno se il solco aperto dalle forze di opposizione si allargherà, se il Pd avrà l’intelligenza di concorrere a creare un ampio arco di alleanze, se i centristi e i renziani vorranno essere protagonisti e non gregari o portatori d’acqua, se i Cinque Stelle avranno completato il loro percorso per diventare in pieno soggetto politico, se Miccichè avrà la possibilità – sicuramente ne ha la voglia – di evitare che il suo partito diventi irrilevante.