I fischi partono da Latina e si dirigono al Colle. E’ sabato sera, al termine di una settimana lunghissima, quando Matteo Salvini rincara la dose. Lancia un avvertimento al Quirinale istigando la folla. Sarà stanchezza, forse tensione. Ma non è affatto il messaggio di un uomo di Stato: “Stiamo smettendo di governare il Paese da servi come ha fatto per anni la sinistra – ha tuonato Salvini dal palco – La manovra economica stavolta la facciamo da Roma e per gli italiani. Questo lo devono capire a Bruxelles, a Berlino e anche in qualche colle di Roma…”. E giù una bordata di fischi. L’ennesimo strappo istituzionale rischia di consumarsi a pochi chilometri dalla Capitale, dove qualche ora prima il presidente della Repubblica aveva ammonito tutti.

Quella manovra al 2,4%, che rischia di compromettere i conti dello Stato e inquietare l’Europa, non lo lascia tranquillo: “La Costituzione rappresenta la base e la garanzia della nostra libertà, della nostra democrazia” e all’articolo 97 “dispone che occorre assicurare l’equilibrio di bilancio e la sostenibilità del debito pubblico”. “Questo – aveva proseguito Mattarella nel suo intervento – per tutelare i risparmi dei nostri concittadini, le risorse per le famiglie e per le imprese, per difendere le pensioni, per rendere possibili interventi sociali concreti ed efficaci”. E ancora: “Avere conti pubblici solidi e in ordine è una condizione indispensabile di sicurezza sociale, soprattutto per i giovani e per il loro futuro”.

Inizialmente Salvini lo aveva tranquillizzato pacatamente: “Stia tranquillo il Presidente, dopo anni di manovre economiche imposte dall’Europa che hanno fatto esplodere il debito pubblico (giunto ai suoi massimi storici) finalmente si cambia rotta e si scommette sul futuro e sulla crescita”. Poi l’attacco all’Europa (“Di Bruxelles me ne frego”) e, al calar della sera, il peggio del repertorio. Culminato in una valanga di fischi per il Capo dello Stato. No. Così non va.