Marcello Dell’Utri dovrebbe conoscere bene i pataccari. Per quasi dieci anni è stato impiccato all’albero di un processo – quello sulla fantomatica Trattativa – costruito attorno alle rivelazioni di Massimo Ciancimino, figlio di quel Don Vito che fu sindaco e boss di Palermo al tempo dei sanguinari corleonesi di Totò Riina. E come tutti gli imputati è stato costretto per quasi dieci anni a confutare quelle rivelazioni: perché fasulle e perché costruite a tavolino con la compiacenza – con la complicità, stavo per dire – di magistrati e organi di informazione, come le sentenze hanno ampiamente dimostrato. Ma il duro, durissimo calvario di quel processo forse non gli è bastato.

Per un luciferino capriccio della storia, l’ex senatore – che fu, con Silvio Berlusconi, tra i fondatori di Forza Italia – si ritrova, con il suo peso e il suo nome, tra i pochi che ancora si battono per la ricandidatura di Nello Musumeci alla presidenza della Regione. Eppure sarebbe bastato leggere i giornali di questa settimana per capire che anche nello scivoloso teatrino della politica siciliana, come nella boiata pazzesca della Trattativa, si muovono patacche e pataccari. Il Governatore, assistito dai bulli del suo cerchio magico, ha presentato fuori tempo massimo all’Assemblea regionale un bilancio di cartapesta, con cifre fantasiose e inafferrabili, dove l’unico capitolo di spesa in aumento era quello destinato ai giardinetti, un po’ trash, di Palazzo d’Orleans. Come se non bastasse il bilancio, messo a punto da quel maestro di fuffa che risponde al nome di Gaetano Armao, assessore all’Economia, è arrivato poi il sondaggio commissionato da Musumeci per elevare un monumento a se stesso – altra cartapesta, va da sé – e abbagliare così Giorgia Meloni e i colonnelli di Fratelli d’Italia, l’unico partito del centrodestra che ancora crede nelle sue capacità di governo.

Dell’Utri che, al di là delle sue avventure e sventure giudiziarie resta comunque un uomo colto e intelligente, avrebbe dovuto annusare in tempo l’odore delle patacche. Per quasi dieci anni ha fronteggiato il pataccaro Ciancimino. Non sarebbe il caso di abbandonare il verminaio siciliano e respirare finalmente l’aria tersa che avvolge la sua villa sul Lago di Como?