Per buona parte della campagna elettorale delle Amministrative del 10-11 ottobre (tranne Misterbianco, dove si vota due settimane dopo) abbiamo fatto le pulci al centrosinistra, per vedere a che punto fosse l’alleanza “organica” – parola che fa paura – fra Pd e Movimento 5 Stelle. E fin dove potessi allargarsi il campo. Ebbene, nella metà dei Comuni l’intesa è stata raggiunta, nonostante le difficoltà organizzative dei grillini, ancora in attesa che Giuseppe Conte, nuovo capo politico, indichi un referente regionale. Ma ai più attenti non sarà sfuggito che le maggiori difficoltà a quagliare fossero nell’altra metà del rettangolo di gioco: a destra. Dove è in atto una situazione paradossale, fra Regionali e Amministrative: cioè l’assenza, anche in questo caso, di un leader che riesca a riunire e far discutere la coalizione. Vero è che nelle piccole realtà è molto più difficile “dirigere il traffico” dei partiti, sempre più condizionati dalle logiche locali e sempre ben disposte ad affogare nel mare magnum delle liste civiche. Ma almeno nei grandi centri ci si sarebbe aspettata una moral suasion da parte dei rappresentanti del centrodestra, che invece non c’è stata.

Il collante dovrebbe essere Musumeci – o la sua esperienza di governo, esaltata a ogni rintocco – ma il prodotto è ormai scaduto. Così l’unico Comune in cui il centrodestra figura unito è Caltagirone. Il feudo di Diventerà Bellissima, dato che negli ultimi cinque anni è stato sindaco Gino Ioppolo, fedelissimo del governatore (oltre che segretario del suo movimento). Ma Ioppolo, questa volta, ha deciso di non ricandidarsi, dando il via libera al suo vice: Sergio Gruttadauria. Il ritiro di Massimo Alparone, sostenuto fra gli altri dalla Lega, ha concesso alle varie anime del centrodestra di riunirsi attorno allo stesso tavolo e non disperdere il patrimonio (non sarà una sfida facile, giacché Pd e Cinque Stelle fanno quadrato attorno a Fabio Roccuzzo). Al fianco di Gruttadauria ci sono tutti i simboli che contano: da Forza Italia alla risorta Democrazia Cristiana di Cuffaro; da Diventerà Bellissima a Fratelli d’Italia. Passando per il Quadrifoglio, nuova formula d’identificazione del Carroccio nell’area in cui dominano la scena Sammartino e la senatrice Sudano. Lo stesso schema, ad esempio, si ripropone a Giarre e ad Adrano.

Restando nel Catanese, appunto, la coalizione di centrodestra appare già più sfumata altrove. Ad Adrano, dove il centrosinistra si organizza con Vincenzo Calambrogio, ci sono almeno un paio di candidati riconducibili all’area della maggioranza di governo: uno è Carmelo Pellegritti, sostenuto da Udc, Fratelli d’Italia e Lega; l’altro è Agatino Perni, vicinissimo a Forza Italia. Stessa minestra a Giarre, dove manca l’amalgama e sarà impossibile ritrovarla prima del ballottaggio: fra i numerosi pretendenti, emergono Leo Cantarella (figlio dell’ex sindaco Salvo), sostenuto dai sei liste, fra cui si riconoscono Lega e FdI; e Leo Patanè, che raccoglie i cattolici di area moderata provenienti da Forza Italia e Democrazia Cristiana. Anche se l’ideologia di base c’entra poco o nulla col giochino delle Amministrative. Dove contano, soprattutto, le conoscenze.

Ma tornando alle divisioni del centrodestra, è in provincia di Agrigento – dove non mancano le personalità d’eccezione: l’assessore regionale Marco Zambuto, la presidente della commissione Ambiente Giusy Savarino, il deputato neoleghista Carmelo Pullara e l’autonomista Roberto Di Mauro – che la coalizione ha dato il peggio di sé in termini di alleanze. A Canicattì, ad esempio, Forza Italia ha stretto l’accordo col Pd, garantendo il sostegno al sindaco uscente Ettore Di Ventura; gli Autonomisti e pezzi di Diventerà Bellissima convergono su Vincenzo Corbo, mentre l’on. Pullara (con il suo movimento Onda, senza il simbolo della Lega) appoggia Cesare Sciabbarrà.

Divisioni in corso anche a Favara, dove i candidati “sciolti” sono un paio: l’ex deputato regionale Giuseppe Infurna, che mette insieme Cuffaro e Miccichè; e Salvatore Montaperto, ex assessore provinciale, che invece è stato bravo a riunire Diventerà Bellissima, meloniani, l’Udc e l’ex Mpa. Si va divisi anche a Porto Empedocle (dove neanche la sinistra ha trovato la quadra). Idem con patate a San Cataldo, nel Nisseno, dove compare persino un candidato riconducibile a Idea Sicilia, il contenitore centrista dell’assessore all’Istruzione, Roberto Lagalla: si chiama Valerio Ferrara. E ad Alcamo, dove l’Udc di Turano ha assestato un coup de theatre in zona Cesarini, andando con la candidata del Pd Giusy Bosco, quando ce n’erano già un paio disponibili in casa. Mentre nel comune più popoloso al voto – Vittoria, nel Ragusano – attorno al nome di Salvo Sallemi (che sfida il venerandissimo Ciccio Aiello) compaiono i simboli dei due partiti della destra, Lega e Fratelli d’Italia, più Diventerà Bellissima. Ma niente Forza Italia.

Al di là dei singoli personaggi, che possono dire tutto o niente (sapete che Angelo Attaguile, leghista della prima ora, è in lista al Consiglio comunale nella sua Grammichele?), e degli accoppiamenti bizzarri, quello che sorprende è il modus operandi. Il centrodestra è sempre stato figlio di queste spaccature sul territorio, ha sempre cercato di rimediare in corsa (come avvenne lo scorso anno ad Agrigento, per esempio). Ma la tendenza a dividere è sintomatica di questo periodo storico, in cui gira tutto male. O quasi. Alla Regione, ad esempio, chi fa da sé fa per tre. Nemmeno sul nome di Musumeci, reduce da un quadriennio nerissimo, si riesce a ricucire. Anzi: la coalizione, sempre più senz’anima, sembra aver imboccato definitivamente un’altra strada. E il governatore, che dovrebbe ergersi a salvatore del popolo – perché gli tornerebbe utile in termini di consenso – continua a delegare tutte le questioni in cui sa benissimo di non poterla spuntare. Poi ha sempre pronta la scusa che lui è il presidente e non si occupa di campagna elettorale. Fosse vero il contrario – cioè che è il presidente e si occupa di tutto il resto – saremmo in una botte di ferro, e invece…