Saranno mica le solite promesse da campagna elettorale? Ma no, certo che no… Da un ministro leale e onesto come Di Maio non ce l’aspetteremmo. Eppure c’è un dato che fa riflettere: durante una visita lampo in Sicilia, ma stavolta è durata un paio di giorni perché domenica c’è il secondo round delle Amministrative, il vice-premier è tornato a parlare dei lavori di Blutec, l’ex stabilimento Fiat di Termini Imerese. Settecento persone (circa) con l’acqua alla gola che solo da qualche settimana hanno ottenuto il ripristino della cassa integrazione in attesa di rientrare in fabbrica (difficilmente con Blutec, dopo la grana giudiziaria che ne he dimezzato l’organico). E cosa è tornato a dire Di Maio nel corso di un incontro con la LegaCoop a Palermo? Che la vertenza sarà risolta. Sì, magari. Ma quando?

Lo scorso ottobre Di Maio ci aveva già provato. Si era presentato ai cancelli di Termini e, aizzando i lavoratori in difficoltà, ma senza consultare le istituzioni locali, si era lanciato in facili proclami: l’immediata attivazione degli ammortizzatori sociali – che diventano realtà dopo sei mesi – e il rilancio della fabbrica, attraverso un piano concordato con l’impresa veneta di Blutec, che prevede all’ex stabilimento della Fiat la creazione di vetture ibride. Peccato che Blutec si sia pappato un contributo statale da venti milioni senza lasciare traccia di ricollocazioni. Solo lacrime e promesse vane. A cui anche il ministro, prima del caso giudiziario, aveva creduto. Corresponsabilità nella menzogna.

Ma Di Maio non s’arrende e cavalca il (proprio) successo: “Abbiamo rinnovato gli ammortizzatori sociali per permettere loro di avere un reddito fintanto che la vertenza non sarà risolta”. Mentre il giorno prima del comizio a Palermo e a Castelvetrano – dove domenica il candidato dei 5 Stelle Enzo Alfano sfida il civico Martire – aveva detto a Repubblica che “il caso Blutec è emblematico di un modus operandi che ha portato lo Stato a mettere in campo cospicue risorse senza, però, vedere realizzati concreti piani di rilancio. Tutto ciò ha lasciato i lavoratori in un limbo dal quale siamo impegnati a farli uscire”. Work in progress.

Si trattasse solo di impegni, magari concreti, nessuno avrebbe da ridire. Solo da applaudire. Ma la visita – elettorale – di Di Maio in Sicilia è servita a seminare decine di promesse in una terra aridissima, che però, stando agli ultimi sondaggi locali, conferma al Movimento 5 Stelle uno spiccato apprezzamento (34%, il doppio dei voti della Lega). Le Europee saranno un interessante banco di prova, ma forse sarà anche l’ultima occasione, da qui in avanti, per vedere all’opera il Ministro del Lavoro nella terra senza lavoro. Che vive di assistenzialismo e si appresta a campare di reddito di cittadinanza.

Tra le mille vertenze sul tavolo del Ministero, ce ne sono alcune per cui Di Maio ha semplicemente promesso un impegno: si tratta dei lavoratori Asu (“Ho dato mandato ai tecnici di convocare la Regione Siciliana per un confronto” ha detto Di Maio) e di quelli di Almaviva, per i quali occorre trovare “una soluzione affinché possano finalmente uscire dalla precarietà in cui sono costretti a vivere”. Ma poi Di Maio, in preda all’infatuazione del momento, o alla volontà di contrastare col mezzo delle promesse l’incessante ricerca salviniana di alleanze nell’Isola (da Genovese a Raffaele Lombardo), si è spinto oltre. Ha debordato. “Utilizzeremo un miliardo del reddito di cittadinanza per le famiglie che fanno bambini”. E ancora: “Faremo il salario minimo da nove euro l’ora. Il che significa che non esisteranno più i lavoretti da due-tre euro l’ora”. E poi: ci sarà una pioggia di investimenti per le aziende innovative e la possibilità di sfruttare sei mesi di reddito di cittadinanza per dare vita a nuove cooperative. Tutto e il contrario di tutto. Mance a tinchitè. Che farebbero impallidire persino “Zio Remo”, alias Remo Gaspari, ex ministro democristiano, re dei favori e delle raccomandazioni in terra d’Abruzzo.

Sarà l’Isola che ispira le buone azioni. Anche perché i dati di questi giorni, una volta di più, confermano la fame di lavoro. La Sicilia, oltre ad essere la seconda regione italiana dietro la Campania ad aver richiesto il reddito minimo (domanda inoltrata da oltre 161mila famiglie, l’89% della platea che ne avrebbe diritto), si è presentata in massa anche alla selezione per navigator: per 429 posti utili (di cui 125 a Palermo e un centinaio a Catania) hanno fatto richiesta quasi 12 mila persone. Oltre il 96% dei richiedenti rimarrà, ancora una volta a bocca asciutta. Fra questi anche gli ex sportellisti della Formazione professionale, che hanno sostato per quasi una settimana in via Trinacria, a Palermo, in attesa di essere ricevuti dall’assessore regionale Antonio Scavone. Una protesta a oltranza per ottenere lo sblocco delle “somme per il fondo di garanzia che darebbero respiro a tanti lavoratori, oltre a chiedere un intervento per chi nel 2017 aveva un reddito tale che non gli consente di accedere al reddito di cittadinanza, ma che adesso soffre la fame e che in attesa di essere ricollocato gli consentirebbe di vivere. Dal ministero – ha fatto sapere la portavoce Adriana Vitale – hanno chiesto agli assessori regionali un report di possibili soluzioni da valutare e finalmente chiudere il tavolo istituzionale, infatti il vero scopo è e rimane la ricollocazione dei lavoratori”.

Ovviamente anche per gli ex sportellisti (si tratta di 1800 precari circa) Di Maio aveva pronto un asso nella manica: “La Regione potrebbe prevedere un loro graduale reinserimento ma sempre con selezioni trasparenti. E’ una vertenza che seguiamo”. Peccato che loro, anziché essere seguiti in maniera così scrupolosa, avrebbero preferito avere qualche chance da giocarsi in prima battuta per accedere ai centri per l’impiego, dove i nuovi navigator – parola del ministro – “saranno selezionati a breve (da Anpal, l’agenzia nazionale del Lavoro) e dovranno occuparsi di coadiuvare i dipendenti”. Quattrocentoventinove persone con un contratto di durata biennale. Altri precari. A cui si aggiungono altre 388 assunzioni che verranno operate direttamente da Palazzo d’Orleans, sede della Regione Siciliana, in base a una disponibilità di fondi garantiti dal Jobs Act e dall’ultima manovra finanziaria nazionale. Una sfornata complessiva di 817 assunzioni che non servirà di certo ad allentare la morsa della fame e della disperazione. Ma Di Maio ha un rimedio per tutto: si chiama reddito di cittadinanza, che “ha risposto a un bisogno concreto delle persone”. Fin qui è l’unica promessa davvero mantenuta.