Col vento in poppa dei sondaggi, che danno Renato Schifani in netto vantaggio su Caterina Chinnici e il resto della concorrenza, il centrodestra fa già i conti col “dopo”. Che significa manuale Cencelli e spartizione dei centri di potere. O, più banalmente, toto-assessori. Il responso delle urne, il peso accumulato dai partiti e la territorialità (geografica) delle scelte faranno la loro parte, ma quest’anno ci si mette un’altra regola da rispettare: quella che impone la presenza di almeno quattro donne in giunta. Nel corso dell’ultima stagione di Musumeci, prima che venisse ‘paracadutata’ Daniela Baglieri al posto di Pierobon, il governo di centrodestra ha assaporato il triste primato di non averne nessuna: l’addio di Bernardette Grasso e l’ingresso di Marco Zambuto alla Funzione pubblica, senza alcun rimpiazzo in ‘quota rosa’, avevano provocato l’ira e il ricorso del Partito Democratico.

Dal 26 settembre comincia un’altra stagione, anche se la politica vi si approccia col solito qualunquismo. Fratelli d’Italia, forte di aver “ceduto” a Forza Italia la presidenza della Regione, farà la voce grossa. Il primato delle preferenze che la Meloni, sfruttando il traino delle elezioni Politiche, dovrebbe confermare anche in Sicilia, darà ai patrioti un discreto peso nelle trattative. Ignazio La Russa ha già messo le mani sulla presidenza dell’Ars: scipparla a Gianfranco Micciché avrà il retrogusto sapido della ‘vendetta’. Ma FdI non ha ancora rinunciato a mantenere per sé l’assessorato alla Sanità: a piazza Ottavio Ziino, fin qui il regno di Ruggero Razza, balla un budget da 9 miliardi. Oltre alle nomine, gli incarichi, le consulenze. Forza Italia, nel corso dell’ultima legislatura, aveva messo le mani avanti, contestando pesantemente la gestione di Razza & Co. Ieri Gianfranco Micciché è andato oltre, intervistato da Repubblica: “Mi spiace non essermi occupato di sanità, è quello che voglio fare in futuro”, ha detto. Aggiungendo che è pronto a rinunciare a un seggio al Senato, in caso di elezione, e rimanere a Palermo.

Ha lanciato il guanto della sfida, il vicerè berlusconiano. Ma Fratelli d’Italia, almeno in panchina, schiera i pezzi da novanta: da Toto Cordaro, assessore uscente al Territorio e Ambiente, che ha aderito da pochi giorni al partito (senza essere candidato all’Ars); a Razza medesimo, che pur rimanendo ai box per un giro, ha più volte manifestato, in questi giorni, il proprio protagonismo sui social. Rimarcando, ad esempio, di aver contribuito – di persona personalmente – alla stesura del capitolo ‘Sanità’ del programma elettorale di Fratelli d’Italia; e prendendo le distanze dal ministro Speranza, che bolla come pericoloso l’insediamento di un governo a guida Meloni. “Il programma di FdI e del centrodestra sulla sanità parte dai professionisti, le cui carenze strutturali sono il vero freno alla realizzazione di un sistema di sanità pubblica capillare – ha scritto Razza, illustrando la propria ricetta – Noi siamo per il superamento del numero chiuso a medicina, per utilizzare tutti i medici oggi non specializzati, per potenziare la sanità sul territorio anche attraverso la tele medicina e l’assistenza domiciliare, per integrare virtuosamente pubblico e privato, per rafforzare il fondo sanitario con nuovi investimenti a copertura delle inevitabili nuove spese sul personale”.

Un altro che osserva alla finestra è Massimo Russo, il cui nome è tornato a circolare prepotentemente alla vigilia di Ferragosto, quando fu Raffaele Lombardo a individuarlo come ‘papabile’ governatore in quota Mpa. Avrebbe un curriculum perfettamente aderente all’incarico: l’ha ricoperto dal 2009 al 2012. Fermo restando che, di solito, l’assessorato alla Salute tocca al partito più “grosso”: Micciché, a tal proposito, non si è mai perdonato di aver ceduto la ‘prima scelta’ a Musumeci nel 2017, quando Diventerà Bellissima – ch’era il movimento del governatore – aveva racimolato nelle urne poco meno del 6%. Per questa poltrona, insomma, sarà uno scontro infuocato.

Ma in tanti, tantissimi si contendono un posto nel prossimo esecutivo. Tra i pezzi da novanta di Fratelli d’Italia ci sono anche due signore: Giusy Savarino, presidente uscente della commissione Territorio e Ambiente, ed Elvira Amata, capogruppo parlamentare. Senza dimenticare i vari Alessandro Aricò, attuale assessore alla Formazione, e Marco Intravaia, segretario particolare di Musumeci. Fidatissimo e fedelissimo. Manlio Messina, invece, andrà a “svernare” a Montecitorio, dopo aver guidato l’assessorato al Turismo in maniera spregiudicata e contorta (anche questa è una casella molto ambita). In Forza Italia bisognerà pesare la performance di un mago delle preferenze come Edy Tamajo, che ha già permesso al partito di mantenere il primato alle Amministrative di Palermo. Sul fronte catanese non mollerà di un centimetro Marco Falcone, altro protagonista dell’inner circle di Musumeci; contrastato, questa volta, da un agguerrito Nicola D’Agostino, fresco di adesione agli azzurri dopo la gavetta in Sicilia Futura e Italia Viva. Difficile, invece, la presenza di Riccardo Gallo, già “ammesso” nel listino del presidente (e quindi certo di andare all’Ars se scatterà il premio di maggioranza). Più probabile quella di Ciccio Cascio, che ha mandato giù il boccone amarissimo delle Amministrative: dopo aver dato la disponibilità a correre da candidato sindaco, ha dovuto rinunciare persino alla poltrona di vice. Tra le donne c’è sempre Margherita La Rocca Ruvolo, che avrà anche la ribalta delle Politiche: è capolista nel plurinominale di Enna e Messina alla Camera.

Ma anche nella Lega è una sfida all’ultimo sangue. Come non tenere conto, ad esempio, che Francesco Scoma sia rimasto fuori da tutto? Prima doveva essere candidato a sindaco di Palermo, poi non ha accettato il ticket con Cascio (anch’egli sacrificato sull’altare di Lagalla), poi ha dovuto rinunciare a un posto di assessore, infine è stato scartato anche al momento della compilazione delle liste per il parlamento nazionale e per l’Ars. Eppure continua a posare nelle foto di gruppo con Salvini. Segno di una fedeltà che andrà ricompensata in qualche modo. Nel Carroccio, però, ci sono troppi galli nel pollaio: a partire da Sammartino, primo dei No-Nello siciliani e mr. Preferenze alle Regionali di cinque anni fa; passando da Antonio Catalfamo, messinese e capogruppo uscente; e che dire di Vincenzo Figuccia? Anche lui un “raccoglitore” di voti su Palermo: in caso di buona prestazione di Prima l’Italia (che in questo momento, nei sondaggi, è nettamente dietro FdI e FI nell’Isola), non potrebbe non ambire a un ruolo di prim’ordine. E’ già stato assessore all’Energia con Musumeci, ma è durato quaranta giorni. Anche Marianna Caronia punta in alto, come l’ibleo Orazio Ragusa, che non c’è rimasto benissimo per non aver ottenuto l’Agricoltura nell’ultimo quinquennio (si è accontentato della presidenza della III commissione). Ad Agrigento un altro ras delle preferenze è Carmelo Pullara.

Come si evince da questa prima analisi, cui vanno aggiunte le legittime ambizioni dei centristi (su tutti il redivivo Totò Cuffaro, che ha imbarcato l’Udc, ma anche Raffaele Lombardo, che tendenzialmente – coi popolari di Romano – non dovrebbe ansimare per superare lo sbarramento) ci sono troppi candidati per pochissime poltrone. E un gioco di pesi e contrappesi che, già alla vigilia delle elezioni, rischia di surriscaldare la contesa. A questa scena assistono con disincanto, e forse un pizzico d’invidia, anche a sinistra, dove la vittoria di Chinnici è stata compromessa dalla fuoriuscita del Movimento 5 Stelle; gli stessi grillini, invece, hanno promesso di indicare gli assessori a stretto giro di posta, dopo aver illustrato in conferenza stampa, ieri, i principali punti programmatici. Restano De Luca e Armao: il primo con la spregiudicatezza di chi non ha molto da perdere; il secondo con la consapevolezza che giocare con due mazzi di carte differenti – da un lato Musumeci che lo mantiene in giunta, dall’altro il Terzo Polo che lo candida – potrebbe procurargli qualche vantaggio elettorale. O forse, finirà solo per confondere gli elettori.