Sono successe un paio di cose da quando il governo regionale ha annunciato la data delle elezioni – il 22 gennaio – nelle ex province. La prima è che all’Ars, con un disegno di legge trasversale (a cui partecipano anche Forza Italia, la Lega e gli Autonomisti), e contro le indicazioni di Musumeci e Diventerà Bellissima, si stia facendo il possibile per far slittare il voto. Venerdì scadono i termini per gli emendamenti, mentre la discussione approderà in aula alla prima seduta utile (martedì prossimo).

Ma nel frattempo è successa un’altra cosa: ossia la pronuncia della Corte Costituzionale, secondo cui “l’attuale disciplina sui sindaci delle Città metropolitane è in contrasto con il principio di uguaglianza del voto e pregiudica la responsabilità politica del vertice dell’ente nei confronti degli elettori”. Sarebbe sub-judice, quindi, la posizione dei tre sindaci metropolitani di Sicilia (Orlando a Palermo, Pogliese a Catania e De Luca a Messina) che rivestono quell’incarico non per aver vinto un’elezione – di primo o secondo livello che fosse – ma sulla base di un’indicazione regolamentare che va modificata. “Spetta però al Legislatore, e non alla Corte costituzionale, introdurre norme che assicurino ai cittadini la possibilità di eleggere, in via diretta o indiretta, i sindaci delle Città metropolitane”.

E’ quanto si legge nella sentenza con cui la Corte costituzionale si è pronunciata sulla riforma degli enti di area vasta varata nel 2014 con la legge Delrio, e sulle corrispondenti norme della Regione Siciliana, secondo cui il sindaco delle Città metropolitane non è una carica elettiva poiché si identifica automaticamente con il sindaco del Comune capoluogo, a differenza del presidente della Provincia, eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali del territorio. Le questioni sollevate dalla Corte d’appello di Catania sono state dichiarate inammissibili perché richiedevano un intervento di sistema, di competenza del Legislatore. La Corte costituzionale ha tuttavia evidenziato come la normativa attualmente vigente “non sia in sintonia con le coordinate ricavabili dal testo costituzionale” circa l’uguaglianza del voto dei cittadini e la responsabilità politica del vertice della Città metropolitana. La necessità di un riassetto normativo del settore, si legge nella sentenza, è dovuta anche al fatto che la mancata abolizione delle Province, a seguito del fallimento del referendum costituzionale del 2016, ha reso “del tutto ingiustificato” il trattamento attualmente riservato agli elettori residenti nella Città metropolitana.

Il vicepresidente dell’Ars, l’autonomista Roberto Di Mauro, ha preso la palla al balzo: “Tale sentenza sancisce di fatto l’inapplicabilità della legge Delrio varata nel 2014. Occorre un riassetto normativo, pertanto auspico che quanto prima l’Ars recepisca questa sentenza e si riunisca al più presto per approvare una norma che ristabilisca l’elezione diretta dei presidenti delle Città Metropolitane e dei Liberi Consorzi dando così la possibilità ai cittadini di poter scegliere i loro rappresentanti territoriali”.

Sul ritorno alla democrazia, che dovrebbe avvenire il 22 gennaio con elezioni di secondo livello, si addensano nuvole nerissime. Anche perché alcuni sindaci, come Cateno De Luca, non hanno alcuna voglia di procedere nella direzione auspicata da Musumeci. “Elezione consiglio città metropolitana: non convoco nulla – ha scritto Scateno su Facebook, un paio di giorni fa -. Non accetto le buffonate politiche di Nello detto Musumeci. Perché votare ora se a luglio 2022 a Messina ed a Palermo si dovranno rifare le elezioni? Nominate il commissario ad acta tanto nel frattempo il Parlamento Siciliano voterà la norma per l’ulteriore rinvio”. De Luca ha anche confermato le proprie dimissioni dalla carica per candidarsi a palazzo d’Orleans. Ieri, presso l’assessorato regionale alle Autonomie locali, ha definito l’iter per la sua uscita di scena, che dovrebbe materializzarsi entro febbraio.