Era pronto al battesimo, sabato 26 marzo, con una conferenza stampa già organizzata al Giardino Inglese, nel cuore di Palermo. Ma poi s’è fermato tutto. Francesco Cascio, ex presidente dell’Ars, resta un candidato sindaco “sospeso”. L’unico in attesa di due esiti: il primo interno al suo partito, che è ancora in cerca di una pace dopo gli incontri infruttuosi alla presenza della senatrice Licia Ronzulli (durante i quali era stato ufficializzato il suo nome per la corsa a palazzo delle Aquile); il secondo, quello di mercoledì a Roma, quando la coalizione di centrodestra, di cui Cascio aspira a essere l’unico riferimento, deciderà se e come fare sintesi attorno alla sua figura. “Forza Italia si è già espressa chiaramente sul punto – ha detto qualche giorno fa intervistato da Live Sicilia -. Ora si deve lavorare affinché la mia candidatura non rimanga isolata”.

Il nome di Lagalla, però, sembra essere il “punto di caduta” anche per Forza Italia e per la Lega. E così la storia potrebbe suonare beffarda per colui che decise di allontanarsi volontariamente dalla politica dopo la mancata elezione alla Camera nel 2018. E che, sempre da solo, aveva deciso di tornare a “ballare”, dopo aver combattuto il Covid in prima linea, organizzando gli screening per l’Asp di Palermo; ed essersi tuffato a capofitto nell’accoglienza dei migranti all’hotspot di Lampedusa, il ruolo che fu di Pietro Bartolo. Il destino di Cascio dipende dalla quadra che riuscirà a trovare Forza Italia, dentro e fuori di sé. Anche se la disponibilità del medico dovrebbe durare fino a giovedì, non un giorno in più.

Più che somigliare a una pace, come molti la descrivono, dentro FI si tratterebbe di una tregua, che prevede di non toccare granché all’interno delle commissioni parlamentari, sedando così la volontà dei “ribelli” capitanati dagli assessori Armao e Falcone di prendersi il capogruppo. Ci avevano provato alla luce del sole, eleggendo Caputo in una riunione “autoconvocata” che, stante il regolamento dell’Ars, non aveva alcuna validità. E hanno tenuto il punto persino dopo l’ultima mediazione architettata dalla Ronzulli, andata via da Palermo con la convinzione di aver lasciato un partito sostanzialmente unito. E costretta fino all’estrema indignazione da un comunicato in cui i frondisti chiedevano come condizione “prioritaria” il cambio della leadership. Già prima, in realtà, Micciché aveva deciso di disfarsi di alcuni dei suoi rivali interni, sfruttando l’assist dei Cinque Stelle sull’azzeramento delle commissioni, che avrebbe determinato la stroncatura definitiva di Stefano Pellegrino, Riccardo Savona e Margherita La Rocca Ruvolo, rispettivamente i vertici delle commissioni Affari istituzionali, Bilancio e Salute. Questa prospettiva, adesso, appare molto più sfumata.

La “tregua” dovrebbe prevedere la permanenza di Gianfranco Micciché nel suo ruolo fino (almeno) alle prossime Regionali. I “giovani turchi” dovranno pazientare. “Ribadisco che nel partito non esistono correnti – ha detto il commissario regionale azzurro, pochi giorni addietro -. Da parte di qualcuno tra i più giovani c’è l’immaginazione che prima o poi sarà lui a comandare. E così periodicamente e con alleanze variabili, a seconda di chi in quel momento è scontento, lo si va a chiamare e si attuano questo tipo di attacchi. Credo che debbano avere l’intelligenza di avere pazienza”. Ma è francamente difficile ipotizzare che i cattivi rapporti, specie fra Miccichè e Armao (celebre la frase pronunciata dal presidente dell’Ars nei confronti dell’assessore all’ultimo summit: “Se la smetti di dire bugie sul mio conto, prometto di non dire la verità sul tuo”), rientrino nella sfera della normalità e della tolleranza. Ed è ancora più complesso che la priorità ostentata dalla (ex minoranza) – cioè “il cambio della guida in Sicilia” – possa tramutarsi d’incanto in un ‘volemose bene’.

Ci sono troppe impuntature per un partito solo. Anche se la più difficile da superare è quella che riguarda, ovviamente, Musumeci. Che Micciché, da un lato, ha escluso di voler ricandidare; e che Falcone e Armao (e di recente anche Marco Zambuto), dall’altro, continuano a sostenere. Mantenendo, fra l’altro, una valutazione sul governatore che scorre lungo rette parallele rispetto a quella del presidente dell’Ars, che ha avuto modo di non apprezzare il rapporto fra il colonnello Nello e i partiti, la frattura totale con il parlamento (con gli insulti che ne sono seguiti), e una gestione a tal punto discutibile della sanità e del sottogoverno da essere diventata borderline. La frattura dentro Forza Italia potrebbe essere (di nuovo) argomento di un faccia a faccia fra Micciché e la Ronzulli, che per mercoledì sono stati convocati a Roma da Salvini. Trattasi di una diatriba che lo stesso Berlusconi aspetta di poter risolvere, magari entro luglio, per poi incidere a pieno titolo nella scelta del candidato alla presidenza della Regione. Con questo clima e con questi veti, anche la posizione del Cav., che Salvini continua comunque a rispettare, perderebbe di credibilità e di peso.

Resta sullo sfondo l’ira manifestata da Micciché e compagni per l’isolazionismo di Meloni, per la sua voglia smodata di arrivare a una soluzione che contempli un “impegno comune” su Musumeci. Persino Cascio, per tornare all’inizio di questa storia, si è parecchio adirato con la Giorgia nazionale per la pretesa di esprimere il candidato sindaco di Palermo e confermare l’uscente a palazzo d’Orleans: “Mi pare eccessiva”. Anche se i rapporti fra FI e i sovranisti sono materia che esula dalla risoluzione interna. Che si proiettano su uno sfondo diverso. Ma che, tuttavia, permettono di risalire alla lunga preparazione della crisi: da un lato la tentazione di aprire a un dialogo con il Pd sull’eventuale applicazione del modello Draghi anche nell’Isola; dall’altro la rigida convenzione di puntare sullo schema a tre, che al Quirinale e alle Amministrative appare consunto per la voracità dei due leader stranieri: Meloni e Salvini. Quale strada prendere – sul serio – è materia d’interrogazione dell’oggi e del domani. Finché non arriverà una risposta certa, che prevede una scelta a tutto campo, sarà più difficile sopire le differenze. E quasi impossibile parlare di pace.

Salta la seduta in commissione Bilancio

“Oggi alle 11,00 era prevista a Palazzo dei Normanni la seduta della Commissione Bilancio, purtroppo andata deserta per la mancanza del numero legale. Un peccato, nella considerazione che all’ordine del giorno c’erano tematiche rilevanti come il Piano regionale dei servizi formativi 2016/2020 a valere sul POC o la discussione di importanti delibere di Giunta a valere sullo strumento finanziario del PO FESR”. Lo afferma il deputato regionale di Forza Italia, on. Riccardo Savona, presidente della Commissione Bilancio all’Ars.