La Regione disconosce il valore dei propri immobili. Dall’audizione dell’assessore Gaetano Armao in commissione Antimafia – sono filtrati alcuni spifferi, dato che il verbale è stato secretato – è emerso che il censimento costato un fiume di danaro (110 milioni), e realizzato illo tempore da Sicilia Patrimonio Immobiliare e dall’avventuriero Ezio Bigotti, risulta inservibile. Ossia, non più utilizzabile. La banca dati è vecchia e va aggiornata. Ecco perché, alla vigilia di luglio, l’assessore all’Economia, e vicegovernatore, aveva chiesto di inserire nel “collegato generale” alla Finanziaria un articolo che prevedesse una “ricognizione straordinaria del patrimonio dell’Ente”. Ma l’aula, nonostante il pressing della Corte dei Conti, e con in testa il Movimento 5 Stelle, si era opposta alla richiesta di Armao, perché riteneva prioritario l’accesso ai server della Spi (a lungo negato per l’assenza di una password).

La questione immobiliare è più ingarbugliata di così. E lo è da almeno un decennio. Da quando, cioè, il governo di Totò Cuffaro decise di vendere 33 immobili al fondo Fiprs (partecipato per il 35% dalla Regione, per il restante 65% da due società con sede in Lussemburgo) alla cifra irrisoria di 200 milioni di euro. Nulla di strano se non fosse che la Regione, dodici mesi dopo, riprese in affitto i cespiti per venti milioni l’anno. Un’operazione che grida vendetta, e dagli esiti devastanti. A cui Rosario Crocetta, con un magheggio che non è andato in porto, aveva tentato di mettere le toppe nel 2017. Come? Riacquistando l’intero patrimonio. Nel frattempo, la procura di Palermo s’era svegliata, aprendo un filone d’inchiesta su queste operazioni immobiliari gigantesche, e (solo) apparentemente senza logica.

Oggi la questione ristagna. Eppure la Regione non ha perso il “vizietto” del mattone. E alla vigilia dell’audizione di Armao, che è andata in scena il 12 settembre scorso, filtrò da palazzo d’Orleans l’elenco di 157 immobili, per la maggior parte terreni (ma anche terreni con fabbricati, tratti di arenili, alvei abbandonati dei torrenti) che la Regione avrebbe voluto dismettere. Tra i siti di maggiore interesse – ma qui il lusso non è di casa – ci sono una palestra di Catania, un impianto sportivo ad Adrano, il palazzo dell’ex Azasi a Modica e un villaggio con 22 unità immobiliari a Castronovo di Sicilia. Prima di passare ai fatti, però, serve una valutazione del dipartimento tecnico della Regione e del Genio Civile, la stessa prevista dall’articolo 11 del “collegato” che l’Ars ha preferito stralciare.

Ma negli ultimi tempi il valzer degli immobili è ripreso. E non sono mancati rumors e pettegolezzi su edifici dal valore assai più consistente rispetto a quello di una palestra. Ad esempio, la Regione, costretta da una sentenza esecutiva del Tar (del 2015), ha riconosciuto un debito fuori bilancio di poco inferiore a venti milioni di euro, che andrà a rimpinguare le casse dell’Esa (l’ente di sviluppo agricolo) per la cessione, nel 2007, di cinque palazzi per i quali l’ente non aveva mai ricevuto un centesimo. La Regione aveva acquisito gli immobili per poi trasferirli al solito fondo, il Fiprs, con la promessa di un pagamento che non veniva fissato “sebbene appaia cogente – come segnalato dai giudici nella sentenza – il contenuto degli obblighi di natura economica posti a carico della Regione”.

La quale, però, non ha mai aperto il portafogli. E nel mese di luglio, il Cda dell’Esa ha dato incarico a un legale di promuovere un giudizio di ottemperanza nei confronti della Regione: non solo per il periodo coperto da sentenza (la richiesta iniziale era di 28 milioni, ne sono stati riconosciuti 19,9), ma anche per gli anni successivi, che l’Esa ha già iscritto a bilancio. La querelle con l’ultimo carrozzone della Prima Repubblica – come l’ha definito Musumeci in uno storico intervento sui social – potrebbe continuare. Da tempo, infatti, l’assessorato all’Economia ha messo gli occhi su palazzo Florio. L’edificio di via Libertà, a Palermo, è il pezzo pregiato del patrimonio dell’ente agricolo e suscita molti appetiti. Un’eventuale soppressione dell’Esa aprirebbe la corsa per aggiudicarselo. Anche se di recente, in un’intervista a Buttanissima, il direttore generale Fabio Marino ha svelato che il palazzo potrà essere concesso alla Regione in comodato d’uso gratuito (per attingere a eventuali finanziamenti da parte dell’UE), ma allo scopo di realizzarvi il museo della Targa Florio, come concordato con l’assessore Sebastiano Tusa prima della sua scomparsa.

Insomma, il braccio operativo dell’assessore all’Economia, ossia il Dipartimento alle Finanze e al Controllo, non potrà applicare lo stesso protocollo con cui s’è “preso” il “Villino Messina Verderame” dalla Cassa regionale per le imprese artigiane siciliane, la Crias. Si tratta di una palazzina in stile liberty, risalente al 1915, che alla fine del ’98 la Crias acquisì dalla società cooperativa Tra.Temar, in liquidazione coatta amministrativa. Il villino, che sorge all’angolo fra via Notarbartolo e via Costantino, nel cuore di Palermo, è stato definito di “interesse culturale” dalla Soprintendenza ai Beni Culturali, nel 2012. E a maggio dell’anno scorso, con una norma inserita nella Legge Finanziaria (articolo 13, comma 2), venne acquisito al patrimonio immobiliare della Regione. A quale titolo?

Una cosa è certa: la Regione non ha versato alla Crias un solo centesimo. Nel verbale di assunzione in consistenza di qualche mese fa, in cui l’edificio viene definito in “cattivo stato di manutenzione” e privo degli infissi interni, si segnala che il procedimento di assunzione è a titolo temporaneo e “non oneroso” e che, tuttavia, una successiva valutazione da parte del dipartimento tecnico della Regione stima il valore dell’immobile in 841 mila euro.

L’assessorato, però, se l’è preso gratis, nonostante la Crias abbia provato a fare resistenza (negli ultimi giorni ha negato il rilascio delle chiavi per accedere al villino). Detto che la Crias non è in grado di pagare per intero le opere di ristrutturazione richieste (circa 400 mila euro), l’Istituto per il credito artigiano, con una delibera dell’ottobre 2018, è intervenuto con dei lavori di messa in sicurezza dei prospetti e di bonifica degli ambienti interni, dove spopolavano rifiuti e piccioni. Le operazioni di ripristino della torretta, con tanto di encomio all’assessore regionale Gaetano Armao, furono mostrare sui social a dicembre 2018 da Beatrice Feo Filangieri, un’attivista palermitana il cui padre abitò nella dimora fino al 1966. In realtà l’intervento non fu opera della Regione – che al villino non ha ancora avuto accesso – bensì della Crias. Che oggi si oppone fermamente a questo cambio di proprietà, non avendo alcuna intenzione ad alienare l’immobile senza un giusto corrispettivo. Ma soprattutto perché considera l’articolo 13, comma 2, della Finanziaria inapplicabile e contra legem.

Per acquisire il villino al proprio patrimonio, secondo gli addetti ai lavori, la Regione avrebbe dovuto avviare un procedimento di espropriazione sulla scorta dei principi e delle regole previste dal D.P.R. 327/2001, dato che la Crias è un ente pubblico economico, la cui competenza – per beni e dipendenti – è sancita dal diritto privato. Invece è stata “svenata” con un atto di arroganza che, a quanto pare, non rappresenta un unicum in questa legislatura. Un atto che potrebbe comportare il depauperamento del patrimonio dell’ente (a un passo dalla fusione con l’Ircac), andando a scapito di creditori e dipendenti. Il finale è tutto da scrivere.