Non ci sarà un aeroporto ad Agrigento, mentre quello di Comiso sarà “al servizio del settore ortofrutticolo e del florovivaismo”. Trapani non si vende, Palermo e Catania (forse) sì. Sembranodue chiacchiere al bar, ma è soltanto il presidente della Regione che ragiona a voce alta sul destino degli aeroporti siciliani. Il suo passatempo preferito, assieme all’annosa vicenda del caro voli. Proprio mentre lanciava l’ennesima campagna di sconti per contrastare il salasso imposto dalle compagnie aeree, Ita Airways – che sarebbe la nostra compagnia di bandiera e ha aderito all’Avviso pubblico per calmierare i prezzi – offriva un Palermo-Fiumicino a 750 euro, nei giorni di Pasqua. Un bell’affare.

Adesso, però, Schifani ha smesso di guardare alla pagliuzza (gli sconti per tutte le destinazioni sono scattati ieri) e punta dritto alla trave: gli aeroporti, appunto. Dimostrando di avere una ricetta (confusa) per ognuno di essi. Tranne che per quello di Agrigento, perché da quelle parti un aeroporto non c’è e quasi certamente non si farà (“Non è nei piani né nei programmi”, ha confermato il governatore). Sul resto, invece, è apparso scoppiettante. A cominciare da Trapani, di cui la Regione (attraverso Airgest) è proprietaria quasi per intero.

L’aeroporto, cannibalizzato dai “nemici” di Ryanair (denunciati per il “cartello” con Ita), ogni anno va ricapitalizzato grazie a un intervento dell’Ars che, attraverso una leggina, ripiana le perdite di gestione: la norma di spesa da circa 4 milioni proposta nel collegato all’ultima Finanziaria rischia l’impugnativa di Palazzo Chigi. Così, complice l’interessamento dell’imprenditore Valerio Antonini (che a Trapani detiene le squadre di calcio e di basket), è tornata attuale l’ipotesi di una privatizzazione. Antonini, fra l’altro, è assistito legalmente dallo studio Pinelli-Schifani, che di recente ha difeso Aeroitalia dall’assalto giudiziario di Ita Airways per un marchio conteso (molto simile a quello dell’ex Alitalia). In questo studio opera anche il figlio del governatore, Roberto.

Schifani, nonostante tutto, s’è messo subito di traverso: “Su Trapani si è fatta una polemica, ma ho chiarito che non è in vendita in questo momento, poi si vedrà anche perché porta utili”. “È chiaro che l’aeroporto di Trapani non va svenduto – ha ribadito il presidente -. Stiamo lavorando sui collegamenti Palermo-Trapani per puntare su un unico hub aeroportuale”. Lo stesso hub che alcuni mesi aveva fatto tremare Lagalla: a Palermo, infatti, Gesap gestisce l’aeroporto in maniera oculata. E l’idea di sobbarcarsi i debiti di Trapani e coprire le spalle alla Regione è una prospettiva che il sindaco non ha mai voluto considerare. Se poi fare l’hub significa collegare i due aeroporti con un trenino (ad averci la ferrovia) è un’altra cosa e andrebbe spiegata con chiarezza.

Al momento le due entità restano separate: da un lato Birgi, con il suo presidente Salvatore Ombra, che realizza buoni numeri (1,3 milioni di passeggeri nel 2023) ma alla fine dell’anno è costretta a ricorrere agli “aiutini” pubblici; dall’altro il Falcone-Borsellino di Palermo, gestito da Gesap e capace di incrementare il flusso passeggeri del 10% rispetto al febbraio dello scorso anno. Punta Raisi è un aeroporto che funziona anche così, motivo per cui Giovanni Scalia, l’ex amministratore delegato di Gesap (poi dimissionario), a fine 2022 si scagliò contro il governatore che aveva suggerito la via della privatizzazione: “Il lavoro e i risultati concreti di questa squadra di manager hanno portato a efficienza, servizi e utili”, ebbe da ridire. Fine della storia.

Adesso, però, Schifani ha ricominciato coi capricci, sfruttando anche l’apertura di Vito Riggio, attuale A.d.: “È aumentata l’esigenza di rafforzare le infrastrutture degli aeroporti per renderli più competitivi ma serve chi investe e a investire sono i privati. Tutti i più grossi aeroporti d’Italia sono privatizzati e funzionano. La logica del governo è quella di seguire questo percorso e privatizzare Palermo e Catania”. A Catania ha tutti gli strumenti per azionare la leva anche subito. La Sac, infatti, è un feudo di Forza Italia. L’A.d. Nico Torrisi è in grande sintonia con il parlamentare acese Nicola D’Agostino e anche Antonino Belcuore, amministratore della Camera di Commercio del Sud-Est (che gestisce oltre il 60% della società) è un fedelissimo. Su quest’asse Schifani ha rafforzato la propria presenza a Catania, difendendo la Sac anche di fronte alle gravi inadeguatezze evidenziate dall’incendio dello scorso luglio a Fontanarossa. Una posizione che per poco non gli costò la rottura definitiva con Fratelli d’Italia e il sindaco Trantino.

La Sac è una gallina dalle uova d’oro (sforna consulenze e incarichi come se piovesse) e anche Fontanarossa, se non fosse per qualche sbuffo dell’Etna, è un paradiso. Offre collegamenti col mondo intero e l’anno scorso ha superato i 10,7 milioni di passeggeri. Ha potenzialità immense, se solo qualcuno decidesse di investire nella struttura (come ha chiesto ad alta voce il Ministro delle Imprese, Adolfo Urso) per adeguarla al traffico. Oggi non lo è. Per questo rispuntano i privati. La Sac, anche se in pochi lo sanno, è inoltre la società di gestione che, pian piano, ha accompagnato l’aeroporto di Comiso nel baratro di adesso. Uno scalo fantasma da cui parte una manciata di voli a settimana; da cui Ryanair è scappata per chissà quale motivo; e dove gli irlandesi – per tornare – continuano a chiedere l’abolizione della tassa sul turismo, senza che Schifani raccolga l’invito.

Insomma, è un aeroporto di cui nessuno sentirebbe la mancanza. E che però, secondo molti, rappresenta una valida alternativa a Catania per non ingolfare Fontanarossa. Non avviene quasi mai, tranne che in situazioni d’emergenza (chiedere all’Etna). Se è questo l’esempio di sinergia che dovrebbero seguire Palermo e Trapani, meglio lasciar perdere. Nel silenzio di Comiso, però, si è inserito il solito Schifani con una proposta quasi irriverente: “Mi sto impegnando per fare in modo che possa essere al servizio del settore ortofrutticolo e del florovivaismo. Stiamo lavorando per fare di Comiso un aeroporto cargo. Inseriremo nell’accordo del Fsc (Fondo sviluppo e coesione, ndr) le somme per realizzare il cargo e miglioreremo la rete di accesso all’aeroporto”. E i passeggeri? Dalle parti del ‘Pio La Torre’ non volano aerei, ma soltanto parole. E domani, chissà, qualche cassa di ciliegino.