L’intervista di Schifani al Giornale di Sicilia di ieri, meritevole di un titolo a nove colonne, lancia un messaggio disarmante: cioè che la sanità può aspettare. Nel piano d’investimenti apprezzato, fra gli altri, anche dal sindaco Lagalla – Palermo ne avrebbe ricadute notevoli – ci sono interventi che occuperanno interi capitoli di spesa, ma soprattutto lunghissimi anni d’attesa. E che pertanto non basteranno a evitare l’implosione di un sistema che tutti i giorni deve fare i conti con criticità ataviche: dalle liste d’attesa alla carenza di medici. La fatiscenza delle strutture è solo una parte del problema. Rilevante, ma che non lo esaurisce. Gettare la palla così avanti – c’è spazio per tutto, tranne che per l’Ismett 2 di Carini pensato da Razza e Musumeci – è un giochino ambizioso ma troppo facile: nel senso che a completare i quattro nuovi ospedali voluti da Schifani a Palermo sarà, se tutto va secondo i piani, il suo successore. E se qualche meccanismo burocratico dovesse ingolfarsi, o se il costo dei materiali continuerà pericolosamente a fluttuare, per chi arriverà dopo ci sarà un alibi scontato: la mancanza di fondi.

Il rischio è di guardare troppo oltre, un rischio che Schifani s’è assunto con consapevolezza: entro l’estate (questa è la prima scadenza) ci sarà la gara d’appalto per la realizzazione del Polo pediatrico presso Fondo Malatacca, dove i lavori sono fermi da sei anni a causa del fallimento della ditta che si era aggiudicata i lavori. “Entro tre anni l’opera sarà realizzata e Palermo avrà un centro d’eccellenza materno-infantile”, spiega il presidente della Regione. Cui piace, evidentemente, coniugare i verbi al futuro. Per Schifani quello dell’ex Cemi sarà il “primo cantiere di un piano che porterà cinque nuovi ospedali a Palermo più quelli di Gela (che dovrebbe beneficiare di un investimento da 280 milioni, ndr) e Siracusa. Per tutto questo abbiamo già ottenuto dal ministero della Salute il via libera a un piano di investimenti nazionali che porterà in Sicilia un miliardo e 870 milioni”.

A lavori ultimati – la stima di 8 anni è fin troppo illusoria – Palermo potrà contare su 1.638 nuovi posti letto con quattro strutture moderne ed efficienti: oltre all’ospedale pediatrico, anche il nuovo ospedale Civico, il nuovo Policlinico e un Polo oncoematologico (quest’ultimo sorgerà accanto all’ospedale Cervello). A questi si aggiungerà la riqualificazione dell’ospedale Ingrassia. Il 95 per cento delle risorse arriveranno dallo Stato, mentre sull’ospedale di Siracusa, già reclamato dal territorio, la Regione ha impegnato di recente un centinaio di milioni (a valere sull’ex articolo 20 della legge 67/88) che però non bastano a chiudere il conto (restano fuori 47 milioni).

Insomma, sotto il profilo dell’edilizia ospedaliera le buone intenzioni si scontrano con uno scenario mutevole, che spesso costringe le amministrazioni a indebitarsi se non addirittura a rinunciare alle opere. Anche se in questo caso, con l’intervento della Stato, almeno una speranziella è lecita. C’è un “però” grande quanto una casa: e riguarda l’oggi. Oggi la sanità è in tempesta. All’Assemblea regionale non riescono neppure a ratificare le nomine dei direttori delle Asp, che il governo della Regione, dopo otto mesi di lunga gestazione, ha partorito il 31 gennaio scorso. Dimenticando, però, di dare uno sguardo al casellario giudiziale dei potenziali manager, oltre che alle competenze maturate da ognuno nell’arco della carriera e ai risultati raggiunti (e comprovati da una valutazione “superiore”: quella di Agenas).

La richiesta di integrazione documentale formulata dalla Prima Commissione dell’Assemblea regionale, che l’altro ieri è stata presentata ai deputati (anche se in parte), ha rivelato che il più scarso è Walter Messina, nominato recentemente alla guida del “Civico”. Non è che ci volesse tutto questo ingegno: Messina, che ha ricevuto la benedizione di Fratelli d’Italia e in modo particolare dell’assessore alle Infrastrutture, Alessandro Aricò, è stato commissariato due volte durante la precedente esperienza da manager a Villa Sofia. E alla luce di tutto questo è stato comunque “premiato”. Il suo primo atto alla guida del nuovo ospedale, il più grande di Palermo, è stato il demansionamento di Desirée Farinella, direttore della Nefrologia Pediatrica dell’ospedale dei Bambini, sulla base di una lettera a Repubblica di una mamma, che lamentava lo sconcerto dell’assistenza sanitaria nei confronti del figlioletto.

Apriti cielo. La pubblicazione di un articolo su un giornale, raccogliendo una denuncia di sei mesi prima, ha scatenato l’ira del funesto Schifani, che ha chiesto di incontrare la donna; e la prova muscolare di Messina, che appena insediato ha declassato la dottoressa, con un colpo di spugna che fino all’altro ieri era contestato dai colleghi della Farinella, dai suoi avvocati (che lo ritengono “illecito”) e dalle organizzazioni sindacali. Ieri, però, si è aggiunto il parere illustre del Dasoe, cioè il dipartimento Attività Sanitarie e Osservatorio Epidemiologico dell’assessorato alla Salute. Il quale, sulla scorta di alcune ispezioni predisposte al “Di Cristina”, non ha ravvisato “responsabilità individuali bensì di sistema”. Insomma, l’ispezione non ha portato a galla criticità così gravi da far scattare un provvedimento ad personam che, peraltro, si è subito tramutato in una gogna insopportabile.

Il calpestamento dello stato di diritto, con tanto di accanimento mediatico, si è impossessato di uno specifico reparto d’ospedale, quando in realtà sono tantissimi i reparti carenti, e non sempre a causa di chi li guida. Bensì della politica, che alimenta il mito della sanità ospedale-centrica senza poter contare, però, su organici poderosi. La prova di quello che stiamo scrivendo è facile da intercettare: alcuni mesi fa è stata la Regione a pubblicare un Avviso per il reclutamento di medici stranieri, anche extra Ue; ed è stato sempre Schifani a “minacciare” di adottare il modello Calabria, per il reclutamento di medici cubani, attraverso una convenzione, qualora i numeri rimangano così risicati (specialmente in ambiti come l’emergenza-urgenza, le terapie intensive, l’ortopedia e la medicina generale). Un altro guaio che riguarda il personale è il continuo ricorso ai medici “gettonisti”: si tratta di professionisti che sempre più spesso si licenziano dal pubblico, ed entrando al privato per guadagnare molti più soldi. E a cui gli ospedali sono costretti comunque a ricorrere, con specifiche convenzioni (onerose) per evitare di affollare le liste d’attesa.

Anche il problema delle liste d’attesa rimane sul tavolo. Il presidente spiega di aver “recuperato i ritardi relativi al 2023” e di essere “pronti a investire altri 41 milioni, in arrivo dallo Stato, per metterci in linea nel 2024. Il tutto sempre collaborando coi privati”. E’ una spirale da cui non si esce. E che peraltro vede Schifani impegnato in prima persona. L’assessore nominata da lui, Giovanna Volo, praticamente non c’è. Non esiste. Il “tecnico”, fortemente voluto dal governatore per uscire dall’angolo e allentare le tensioni dei partiti, si limita a qualche comparsata a Sala d’Ercole per rispondere alle interrogazioni dei parlamentari; e di apporre la firma su atti e iniziative di altri. E’ stata lei a pubblicare il decreto in Gazzetta ufficiale per la nomina dei manager – tra i peggiori che si potessero selezionare – ma si dice in giro che non ne abbia scelto neanche uno. Almeno non arrossirà di fronte a un’eventuale bocciatura di qualche nome illustre da parte della Prima commissione dell’Ars. A rivederci alla prossima settimana.