Quando lo contattiamo alle 10.30 del mattino, Riccardo Arena, firma storica del Giornale di Sicilia, non sa ancora se martedì il “suo” giornale, 159 anni di storia, sarà in edicola (lo sarà): “Boh”, è la replica. Poco dopo senti Antonello Piraneo, direttore de “La Sicilia” da quando il quotidiano è in amministrazione giudiziaria (ha cambiato direttore dopo 51 anni per le note vicende capitate a Mario Ciancio Sanfilippo) e capisci che non sta nella pelle per il nuovo prodotto. “Piace. La gente ha digerito anche il lieve aumento di prezzo”. Nuovo formato tabloid, a colori: più storie, più voci, più territorio. “La Sicilia” ha scelto di darsi una possibilità nuova. Lo stesso percorso che il Gds qualche mese fa, era il 15 settembre 2018, aveva rilanciato dal Teatro greco di Taormina: il giorno dopo sarebbe arrivato in edicola con la nuova versione che sembrava aver “cancellato” i tumulti del passato più recente.

Ma la crisi dell’editoria non la batti con una nuova veste grafica. E’ una bestia che ogni tanto torna. Come nel caso dello storico quotidiano di Via Lincoln, che negli ultimi cinque giorni ha sospeso le pubblicazioni (ad eccezione di sabato 22). A causa dello sciopero proclamato dai poligrafici – quelli che disegnano il giornale e si occupano di mandarlo in stampa, chi lo confeziona – sulla cui testa pendono dei numeri impietosi: 34 di loro (su 43) dal primo agosto potrebbero ritrovarsi in cassa integrazione, il primo passo (forse) verso il licenziamento. E’ gente esperta che lavora lì da trent’anni e difficilmente si potrà reinventare.

Sabato, nonostante l’agitazione avesse ricevuto la solidarietà dei giornalisti, il Gds è andato in edicola. Apriti cielo. La proprietà l’ha definita una solidarietà “ipocrita”, “visto che non impedisce l’uscita in edicola del quotidiano, garantita proprio dal regolare lavoro della redazione”. Poi, su indicazione del Comitato di redazione, anche le penne si fermano. Il giornale salta i numeri di domenica e lunedì (ieri su decisione unilaterale dell’azienda). Il Cdr non perde occasione per evidenziare la politica dei tagli attuata dall’attuale proprietà – la stessa della Gazzetta del Sud di Messina – che dal pulpito replica: “Questa azienda è vittima di una crisi ultradecennale che non ha risparmiato nessuna realtà editoriale dell’intero panorama nazionale. Negli ultimi 10 anni fin troppe testate hanno dovuto interrompere le pubblicazioni, vittime di una recessione insostenibile in termini vendite e introiti pubblicitari”.

Ciò che i giornalisti non si spiegano è il tentativo di voler mettere gli uni contro gli altri. La solidarietà è un concetto distinto e separato dal portare a compimento il proprio lavoro, che di fatto ha permesso di chiudere il giornale di sabato: “Non sono bravo in niente, men che meno in filosofia e in bizantinismi, né so o amo pontificare – aveva scritto sui social Riccardo Arena –. Questa infatti, a ben vedere, è prevalentemente una “banalissima” questione di pane. È il pane dei poligrafici, ai quali abbiamo sempre dato, e la rinnoviamo, la più totale e piena solidarietà. È una battaglia che riguarda poi pure il nostro pane. È una sacrosanta lotta per il posto di lavoro e per lo sconfinato amore verso la professione. Ma è anche un impegno forte, fortissimo, inarrestabile per un giornale che, nonostante tutto e tutti, c’è da 159 anni e quasi un mese e che ancora una volta ce la farà”.

I toni al telefono si raffreddano: “Che la situazione sia difficile lo vediamo tutti – confessa Arena –. Sappiamo che il mercato non tira più, che ci sono difficoltà sotto tutti gli aspetti, che l’azienda sta facendo sforzi notevoli per far quadrare i conti. Questa situazione ci fa lavorare in un clima di preoccupazione e di ansia. Un clima, però, in cui vorremmo più collaborazione e interazione con l’azienda, ma assistiamo a delle manifestazioni che vanno in senso opposto. Lo scambio di comunicati degli ultimi giorni è la prova che abbiamo perso la bussola. Da tempo”.

Resta un dubbio, che vale adesso e per il futuro: chi ha confezionato il giornale di sabato senza i poligrafici? “Lavoratori che presumiamo estranei all’azienda e alle mansioni dei poligrafici stessi – ha evidenziato in una nota il blocco dei 43 – e che hanno vanificato la nostra protesta”. Il dubbio è anche di Arena: “Il lavoro poligrafico non lo facciamo noi, c’è qualcuno che lo ha fatto, non sappiamo chi sia questo qualcuno. L’azienda dovrebbe chiarire a se stessa e a noi come si fa a far uscire il giornale senza poligrafici, dobbiamo avere la garanzia che il giornale lo faccia gente che è abilitata a farlo”. Ma manifestare solidarietà, e lavorare allo stesso tempo, è valsa a buona parte dei giornalisti la definizione di “crumiri”: “Noi abbiamo i nostri scioperi, i poligrafici hanno i loro. Il crumiraggio, in passato, lo abbiamo subito da parte di colleghi che lavoravano in pendenza del nostro sciopero. In quel caso i poligrafici, giustamente non essendo in sciopero, completarono il giornale fatto dai crumiri veri”.

Al di là della diatriba di queste ore, resta una questione in filigrana: “Noi questo giornale lo vorremmo rilanciare, anche se ci rendiamo conto che i soldi non sono i nostri. Gli investimenti toccano ai proprietari e, anche se loro dicono di averli fatti, l’unica cosa che riescono a garantirci – ammette Riccardo Arena –. è lo stipendio. Che non è poco. Sarebbe il momento che l’azienda e i giornalisti si sedessero attorno allo stesso tavolo, per trovare un’intesa e capire quali sono le iniziative da intraprendere. Cercare di rilanciare il giornale dentro questa città (Palermo) che è sempre più assente e abulica. Negli ultimi cinque giorni siamo stati in edicola una sola volta, ma secondo me non se n’è accorto nessuno”. “Siamo consapevoli – aggiunge Arena – che il ciclo produttivo impone sacrifici. I sacrifici già affrontati da ottobre 2016, con la cassa integrazione e la solidarietà da giornalisti, poligrafici e amministrativi, non sono stati ritenuti sufficienti o non sono bastati; dopo i poligrafici, probabilmente gli esuberi arriveranno pure per noi, c’è un piano di cui si parla da tempo”. La certezza è una sola: “Noi dobbiamo fare una lotta comune, se cominciamo a scontrarci fra di noi è già finita”.

Per un Giornale di Sicilia in crisi nera, l’altro quotidiano dell’Isola, “La Sicilia”, ha deciso di cambiare passo. Con un impressionante tam tam sui social è stata annunciata dai numerosi giornalisti il nuovo volto del quotidiano, per la prima volta in edicola domenica scorsa. Un format rimpicciolito, sulla base del tabloid; dentro, soprattutto, ci sono idee nuove. Quelle di Antonello Piraneo, che ha condotto la zattera fuori dalla tempesta del settembre scorso, dai sequestri a Mario Ciancio, dalle accuse per mafia. A Catania hanno rialzato la testa: “Ci siamo impegnati a garantire una riaffermazione fortissima della nostra identità che non poteva essere scalfita da nulla – confessa oggi Piraneo –. Non ci siamo fatti distrarre da nulla che non fosse il nostro lavoro. Da tre mesi lavoriamo alla nuova veste grafica, ed oggi eccola qui. La grafica è sostanza”.

Che il lancio de “La Sicilia” sia coinciso con la delicata vertenza del Gds, è opera del fato. “Abbiamo intenzione di raccontare la cronaca in maniera diversa. Le città in maniera diversa, dare più spazio alle storie e meno alle notizie a fascio, più ai volti e meno ai palazzi. In questa logica – conferma il direttore del quotidiano etneo – una riforma grafica ti può accompagnare. Non vi nascondo che c’era anche un’esigenza di ritarare il prezzo del giornale per esigenze di bilancio. Ma non ci siamo presentati ai lettori con il cappello in mano, anzi. Ci stiamo presentando con un prodotto che ambisce a essere diverso: più approfondimento, più racconto, più narrazione. Faremo delle pagine con commenti ulteriori. L’aumento è stato ben digerito, perché evidenzia lo sforzo di voler fare una cosa diversa”.

Il giornalismo su carta è continuo adattamento. Ai progressi e alla tempestività del web, alla proposta dei competitor. E, come dice Piraneo, “o fai un’altra cosa o sei destinato a morire. Non importa se ti chiami Corriere della Sera o La Sicilia”. Recuperare i lettori è un’operazione assai ardua, l’emorragia è inarrestabile. “A mio figlio di 23 anni un giornale può essergli capitato in mano, a quello di 19 mai. Per questo occorre raccontare più storie possibili. Devi andare di più nelle università e nelle scuole”.

Lui l’ha fatto per lanciare il sequel del progetto “Sicilia 2030”, che a Capodanno ha portato in edicola un inserito in cui si chiedeva a siciliani illustri – da Fiorello a Pietrangelo Buttafuoco, da Fiammetta Borsellino a Diletta Leotta – di declinare il futuro della nostra terra: “Ma mi sono reso conto che era monco perché mancava la voce dei giovani – dice Piraneo –. Così me ne sono andato nelle quarte e quinte classi dei licei dicendo ai ragazzi ‘adesso scrivete voi come vi immaginate fra dieci anni’, senza filtri che non fossero quelli dell’ortografia. Lì ho avuto la percezione che un giornale cartaceo ha ancora un fascino e un ruolo. Pur parlando a 18enni, che un quotidiano non lo hanno mai comprato, e non so se lo compreranno mai, il fascino di leggere il proprio nome sul giornale è sorprendente. Mi sono fatto forte di questa cosa e ho pensato di raccontare il più possibile, di imporci noi la gerarchia delle notizie e di non farcele imporre dal Televideo. Ed eccoci qui”.

“Questa grafica è piaciuta – conclude Piraneo nella sua istantanea –. Viene considerato un giornale molto raffinato, elegante, di approfondimento. Il messaggio che vogliamo far passare è che non basta leggerlo al bar. Il bar non basta, perché capisci che c’è qualcosa da scoprire che ti spinge a comprarlo. Non abbiamo l’illusione che tutti coloro che lo sfogliano al bar lo comprino in edicola, perché sarebbe una nuova stagione d’oro. E purtroppo non sono stagioni d’oro”.